L’opera in scena al Teatro Massimo Bellini di Catania, musicata da Gianni Bella con liriche di Mogol, si propone con coraggio di intraprendere una strada young-friendly, strutturata com’è con un linguaggio piano e diretto. Sforzo apprezzabile, ma basterà ad inaugurare una tendenza?

Che gli esperimenti innovativi suscitino accesi dibattiti è inevitabile, specialmente se parliamo di teatro lirico. Esempio eclatante è stato rappresentato da La Capinera, un’opera nata dalle musiche di Gianni Bella e attualmente in scena a Catania, che per le commistioni di cui è figlia è stata definita un “melodramma moderno”. Unica produzione del cartellone interamente firmata dal Teatro Bellini, con un investimento che ammonta a un milione di euro, la vicenda ispirata all’omonimo romanzo verghiano è stata firmata da alcuni nomi di lustro, di cui vi abbiamo già parlato nelle interviste a Mogol e a Marina Bianchi.

Una storia ambientata e rappresentata nel capoluogo etneo, quindi, il cui obiettivo principale era quello di coinvolgere i giovani in una forma di teatro nuovo, in grado però di suscitare curiosità e interesse nei confronti della lirica intesa in senso tradizionale. Per riuscirci, la produzione ha puntato innanzitutto su un mélange di rimandi testuali, che va dal celebre brindisi de La traviata di Verdi ad alcune arie del terzo atto de La Bohème pucciniana, passando per Notre-Dame de Paris, musicato da Cocciante, e per certa musica leggera («E tu… e lei… e voi» canta a un certo punto la protagonista, strizzando inevitabilmente l’occhio a Pensiero stupendo).

A questo si sono affiancati costumi e scenografia dal fascino maestoso, che con la loro solennità fortemente legata ai luoghi ottocenteschi della città hanno fatto dunque da contraltare a un linguaggio privo di arcaismi, imperniato su una struttura paratattica della frase e su un lessico piano, nonché caratterizzato da qualche espressione smaccatamente contemporanea («Sta arrivando temporale… elettricità», fra tutte). Un pubblico dall’età media di fatto inferiore rispetto agli standard della stagione appena conclusa (fatta forse eccezione per La bella addormentata, quantomeno nella replica a cui abbiamo assistito), oltretutto, ha scoperto in anteprima degli arrangiamenti senza dubbio evocativi, che però non sempre sono stati accompagnati da una rappresentazione dello stesso spessore.

Nelle due ore e mezza di spettacolo, composto da due atti frammentati in diverse “scene fotografiche”, a una prima metà godibile e carica di aspettative ne è seguita, invero, una seconda spesso poco dinamica, slegata dal punto di vista dello sviluppo della storia e troppo concentrata su dettagli più o meno di transizione, a causa dei quali si è rischiato di perdere di vista il vero motore (e pathos) dell’azione. Lo scarto rispetto ad allestimenti recenti quali Adelson e Salvini e Andrea Chénier è stato evidente agli occhi dei frequentatori assidui, meno disturbante per chi non è abituato a confrontarsi con i libretti di Boito o con l’ampio respiro wagneriano.

Foto di Giuseppe Tiralosi
Foto di Giuseppe Tiralosi

Così, se il tentativo era indirizzato a neofiti sostenitori delle glorie locali, lo si può ritenere in buona misura riuscito, sebbene alcuni perfezionamenti strutturali sarebbero stati più che graditi dalla rimanente percentuale di spettatori – e non solo. Per quanto siano pregevoli il coraggio e gli obiettivi raggiunti da una produzione del secondo millennio che si è cimentata con un genere musicale ormai “morto”, e in grado di sopravvivere solo grazie ai fasti del passato, probabilmente la chiave per conquistare i giovani non consiste infatti in un’attenuazione delle caratteristiche del dramma o dei virtuosismi di interpreti e musicisti.

In tal senso, La Capinera rimane un punto di partenza ammirevole in termini di svolta young-friendly, dato che rielabora in un’ottica conforme ai nostri tempi tematiche quali “il contrasto fra la religione dei padri e la contemporaneità” o il dilemma fra l’amore divino e quello carnale. Tuttavia, costituendo un’eccezione rispetto alle regole strutturali dell’opera lirica e alla programmazione prevista di solito al Bellini, può momentaneamente fare scalpore, ma non può fare da sola la storia. Piuttosto, il rapporto fra il teatro e le nuove generazioni dovrebbe essere coltivato con costanza e dedizione, senza la paura di spaventare con atmosfere complesse o articolate, anzi. Svecchiare è lecito, non ridimensionare è cortesia: parola di ventitreenne.

Foto di Giuseppe Tiralosi
Foto di Giacomo Orlando

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