A Siracusa le tracce del mito sono a portata di passante. A dominare ed adornare piazza Archimede, infatti, si erge la cosiddetta “Fontana di Diana”, realizzata dallo scultore piceno Giulio Moschetti (già autore del “Ratto di Proserpina”). Inaugurata nel 1906, immortala uno dei culmini finali della vicenda: la dea della caccia, posta al centro, è raffigurata nell’atto di fare da scudo, con le braccia protese verso di lei, alla bella Aretusa, intenta a fuggire dalla disperata rincorsa di Alfeo. Ma quali furono le circostanze che condussero la fanciulla alla sua celebre trasformazione?

IL MITO. Si narra che Aretusa, ninfa a seguito di Artemide (nota anche come Diana), trascorresse le sue giornate a correre e cacciare tra le foreste. Un giorno, sopraffatta dal caldo e dalla fatica, si fermò sulle sponde di un fiume dalle acque così limpide e cristalline da poterne scrutare il fondale. Tolte le vesti, Aretusa le poggiò sul ramo di un salice e si immerse nel fiume, ma un improvviso sussulto proveniente dal centro la spinse a ritornare a riva, impaurita. Si trattava del dio Alfeo che, attratto dalla ninfa, iniziò ad inseguirla. «Ma io, con forze inferiori, non potevo più reggere la corsa, e lui era in grado di sopportare una lunga fatica. E tuttavia corsi per pianure e monti alberati, e per rocce e per rupi, anche dove non c’era una strada. Avevo il sole alle spalle: ho visto arrivarmi davanti un’ombra lunga – ma forse la vedeva il terrore», riporta Ovidio nelle Metamorfosi. Quando le forze la abbandonarono, Aretusa invocò l’aiuto di Artemide che l’avvolse in una coltre di nebbia per nasconderla al suo inseguitore. Delle gocce iniziarono a scendere dal corpo della ninfa che in breve tempo si trasformò in acqua: «Ma l’acqua amata il fiume la riconosce, e, deposto l’aspetto umano che aveva assunto, torna per mescolarsi a me nelle proprie acque. La dea di Delo ruppe la terra, ed io, sommersa in grotte cieche, arrivo ad Ortigia, che mi è cara, portando il nome della dea, e mi riporta per prima all’aria aperta”, conclude il poeta latino dando voce alla stessa Aretusa.

Fontana di Diana, Piazza Archimede.

SECOLI DI LEGGENDA. «Nella parte estrema di quest’isola vi è una fonte di acqua dolce il cui nome è Aretusa, di incredibile ampiezza, pienissima di pesci, il cui flusso sarebbe tutto sommerso se non fosse separato dal mare da un massiccio muro in pietra». Così descriveva Cicerone la sorgente d’acqua dalla forma circolare dell’isola di Ortigia, un luogo in cui convivono pesci e papiri, che sfocia nelle acque salate del Porto Grande di Siracusa. A rievocare la presenza di Alfeo, non solo l’omonimo lungomare, ma anche la polla d’acqua dolce che sgorga a poca distanza, chiamato Occhio della Zillica. Alla fonte, un tempo collocata al di fuori della cinta muraria della città, si accedeva attraverso una ripida scala, dov’era collocata la Saccaria, una porta dalle quale sembra siano entrati i Romani per conquistare l’isola. «La fonte, giunta con quell’aspetto fino al Cinquecento, nel 1540 fu inglobata nelle fortificazioni, quando Carlo V potenziò le strutture militari di Ortigia. Liberato nel 1847 l’invaso assunse la forma attuale. Il belvedere posto accanto alla Fonte è ciò che rimane dell’antico bastione, demolito nella seconda metà del XIX secolo».

NELSON E NAPOLEONE. Alla fonte, che sembra aver ispirato nei secoli poeti, artisti, autori, musicisti, è legato un aneddoto su Horatio Nelson. Nel 1798 sostò a Siracusa prima della battaglia di Abukir contro la spedizione di Napoleone Bonaparte e qui scrisse: «Grazie ai vostri sforzi noi ci siamo riforniti di viveri ed acqua, e sicuramente avendo attinto alla Fonte Aretusa, la vittoria non ci può mancare». Una premonizione che si avverò e quando dopo due anni l’ammiraglio tornò a Siracusa, fu insignito della medaglia d’oro dal Senato, che gli offrì anche la cittadinanza onoraria.

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