«È un gesto frequente in tutte le culture: in origine vivevamo sugli alberi, oggi li abbattiamo»: così afferma il docente di Colture Arboree all’università di Palermo e autore del libro “Abbracciare gli alberi” (Il Saggiatore) recentemente presentato all’apertura del ciclo di seminari “I Paesaggi dei viventi” promosso dal Dipartimento di Agraria dell’università di Reggio Calabria

[dropcap]A[/dropcap]bbraccia gli alberi / salvali dall’abbattimento / la proprietà delle nostre colline / salvala dal saccheggio: è l’invito della poetessa Raturi, rappresentante del movimento Chipko, da cogliere in senso letterale e non solo metaforico. «Tale lotta non violenta – spiega Giuseppe Barbera – è una forma di resistenza messa in atto dalle donne indiane negli anni ‘70 volta a contrastare la deforestazione».
Nella prima edizione di “Abbracciare gli alberi. Mille buone ragioni per piantarli e difenderli”, pubblicato da Mondadori nel 2009, vi era un esplicito riferimento a questo movimento e Raturi era stata una delle muse ispiratrici del titolo: «Insieme a lei – continua lo scrittore – è stata per me un’importante fonte di ispirazione anche quanto raccontato da José Saramago, Premio Nobel per la letteratura. Quest’ultimo ha ricordato quando il nonno, poco prima di morire, scese nell’orto per abbracciare gli alberi da lui piantati in vita e dire loro addio. Un simile gesto è carico di significati ed è importante tenerlo a mente e ripeterlo».

AMICI E NEMICI DELLE PIANTE. La necessità di pubblicare nuovamente il proprio libro nel 2017 nasce da un mutamento avvenuto nel corso degli anni: «Qualcosa è cambiato, – racconta Barbera – è cresciuta parzialmente l’attenzione verso gli alberi. Nel 2011-2012 sono stato Assessore alla Vivibilità, Verde e Spazi Pubblici a Palermo e questo mi ha permesso di notare una sensibilità diversa nella gente. Prima i “nemici degli alberi” erano gli unici ad avere voce in capitolo, nessuno aveva il coraggio di opporsi loro. Quando un albero offuscava una finestra o impediva la realizzazione di un parcheggio, si abbatteva. Oggi invece gli “amici degli alberi” parlano, hanno una voce più forte e mostrano la propria opposizione con coraggio».

ALBERI “FUORI LUOGO”. La necessità finalmente percepita di aumentare il verde intorno a noi ha condotto all’usanza “egoistica” di piantare alberi nelle aree urbane. Circondati da palazzi in cemento, immersi nello smog delle auto, «se gli alberi potessero parlare, scapperebbero dalla città. Le metropoli sono ambienti inadatti a ospitare piante, ma queste ultime sono importantissime per motivi sia funzionali sia estetici». Questa è l’opinione di Barbera, che con la propria esperienza di Assessore può affermare in maniera coscienziosa: «Rendere più verdi le nostre città è importante, ma questo richiede grande cura e attenzione: spesso non ci si confronta con gli esperti e ci si lamenta di conseguenze che in realtà si sarebbero potute prevedere ed evitare. Si pensi per esempio a quando le radici di un albero sollevano i marciapiedi o a quando i rami di una pianta cadono perché non è stata adeguatamente curata. Lo stesso uomo che paradossalmente ha portato alla deforestazione, oggi finalmente sta tentando di rimediare, ma piantare alberi in città necessita di un’attenzione particolare».

QUASI ETERNI. Se è vero che la nostra sensibilità nei confronti delle piante è mutata, è anche vero che di fronte a un monumento secolare si tende ad avere un rispetto maggiore in confronto a quello che abbiamo verso gli alberi secolari. Gli alberi sono gli essere viventi più longevi, possono vivere fino a cinquemila anni: occorrono secoli per farli crescere, ma basta un attimo per distruggerli. Davanti a tale constatazione Barbera commenta: «Mentre i monumenti, se ben tenuti, possono durare in eterno, gli alberi in quanto viventi sono destinati a morire. Essi vanno curati senza l’illusione che non muoiano mai e, quando necessario, sostituiti. Per esempio il famoso castagno di cui scrive Anne Frank nel proprio diario è crollato nel 2010, ma dai suoi semi sono stati ripiantati molti alberelli».

NATURA E CULTURA. «Il legame tra il verde e la cultura è innegabile: coltura e cultura hanno la stessa radice e il latino liber designava sia il libro sia la corteccia degli alberi. Le prime forme di culto erano rivolte proprio alla natura, a quel verde in mezzo al quale siamo nati e che oggi stiamo distruggendo». Non è un caso che un luogo religioso quale la Valle dei Templi di Agrigento sorga immersa nel famoso giardino della Kolymbethra, un ambiente tipico della macchia mediterranea del cui recupero proprio il Professor Barbera si è occupato.

 

 

 

 

 

 

 

 

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