Il 6 dicembre 2021, nel popoloso quartiere Sanità a Napoli, la camorra ha dato fuoco, dopo averlo cosparso di benzina, a un pusher che voleva tirarsi fuori dal clan. Il giovane desiderava riprendersi la propria esistenza, non ne poteva più di una vita di paura e di odio. Voleva tornare alla normalità. Ma non c’è stato nulla da fare, perché i camorristi non perdonano.

Questa storia – ha scritto in un editoriale  su Avvenire Maurizio Patriciello – «dice che una volta cascato nelle grinfie della camorra è difficile, per chiunque, fare marcia indietro. Dice a noi, società civile, che non possiamo permetterci il lusso di prendercela con comodo, che bisogna fare in fretta, arrivare ai ragazzi prima di ‘quelli’.  Ci dice che occorre lanciare un potente salvagente a chi – e credo che non siano pochi – è pentito, vorrebbe mettersi in salvo, scappare via da una vita di finto benessere e di vero tormento, ma non osa, perché la paura di finire ammazzato lo pietrifica».

Le reti della camorra hanno maglie molto strette «che si stringono sempre più fino a diventare soffocanti»: molti ragazzi vi rimangono incastrati con estrema facilità, attratti dalle promesse dei boss, dai loro regali, dai soldi facili, ma «pochissimi – ci testimonia Davide Cerullo, uno che miracolosamente è riuscito ad uscirne – sono quelli che possiedono il coraggio e la forza di romperle». E questo anche perché la camorra condanna le sue giovani vittime alla dipendenza.

La copertina del volume

La vicenda del pusher dato alle fiamme a Napoli nel dicembre del 2021 è solo un esempio di una lunga scia di casi di violenza che ha colpito giovani vite nei quartieri popolari della città partenopea nell’autunno di quell’anno e nei primi mesi del 2022. Tanto che l’arcivescovo Domenico Battaglia ha lanciato un accorato appello, invitando tutti – autorità civili, educatori, esponenti del Terzo settore, parrocchie e movimenti – a raccogliere il “grido della città”. E, per dare concretezza a questo appello, il presule ha promosso un “Patto educativo nella città metropolitana di Napoli” che ha raccolto l’adesione, oltre che del sindaco, del presidente della Regione e del prefetto anche di più di cento associazioni.

In un editoriale per Famiglia Cristiana, lo stesso arcivescovo ha ribadito che «numerosi preti, insieme a tanti laici e consacrate, in diverse aree della città metropolitana, da Scampia ad Afragola, passando per Ercolano e arrivando alla Sanità, sono un baluardo di resistenza, una profezia di vita e di giustizia, un simbolo che il male, per quanto forte, non può prevalere».

Questo Patto educativo promosso dalla Chiesa napoletana è volto a creare e consolidare «legami di collaborazione e confronto tra scuola, servizi sociali, parrocchie e ogni altro ente impegnato nel mondo dell’educazione e dell’inclusione sociale». L’obiettivo ultimo del progetto consiste nel fare in modo che «il “sistema di cura” sia capace di contrastare a livello preventivo ‘o sistema’ della camorra».

Nei quartieri popolari di Napoli all’indice alto di dispersione scolastica si accompagna anche un bisogno grandissimo di educazione. Esso non si manifesta solo come mancanza di istruzione o di ignoranza delle regole minime della grammatica o dell’aritmetica, ma si presenta, soprattutto, come «assenza del desiderio». Ecco perché Paolo Vittoria e Davide Cerullo in un saggio su La pedagogia fragile sostengono che a Scampia e in tutte le periferie del mondo «il maggior bisogno che emerge sembra essere proprio quello di avere desideri».  In questi luoghi, più che altrove, è «immediato e trasparente cosa c’è in gioco, che differenza fa per un ragazzo incrociare o meno nella vita lo sguardo di un adulto disposto a stare davvero con lui, ad accompagnarlo».

«Mi sentivo come un bambino solo, abbandonato – racconta Davide Cerullo riferendo la propria esperienza di giovanissimo adulto appena uscito dal carcere di Poggioreale dove aveva scontato una condanna per fatti di droga –. Ero come un bambino su un marciapiede, bloccato dalla paura di non sapere attraversare. Fortunatamente mi capitò di conoscere un uomo che mi prese per mano e mi disse: Vieni, attraversiamo».


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