«La paura di un nome non fa che aumentare la paura della cosa stessa», scriveva J.K. Rowling nella saga di Harry Potter. Lei si riferiva a Voldemort, un potente mago oscuro, mentre io in genere quando cito la frase penso per lo più alle statistiche, ai dati, alle percentuali. A tutto quel sottobosco di sondaggi da analizzare, di numeri da capire, di comportamenti probabilistici da interpretare.

Ho paura di menzionarli perché ho paura di non capirli, o meglio ancora: ho paura che vengano strumentalizzati a mia insaputa. È facile manipolare i risultati di una ricerca a scopi propagandistici, ideologici, di marketing o politici in senso lato, infatti, se dall’altra parte manca la consapevolezza di come funzionano le relazioni fra le singole voci. Ed è ancora più facile se non si riesce nemmeno a intuire quali possano essere le falle comunicative di un certo report, quali dovrebbero essere le informazioni necessarie a contestualizzarlo, e di che natura sono le indicazioni omesse volutamente.

La copertina del libro

Ecco perché, tutte le volte in cui mi imbatto in un articolo sui dati, finisco per impararlo a memoria. Ecco perché ascolto podcast, spulcio interviste, mi iscrivo a newsletter. Ed ecco perché leggo svariati saggi sull’argomento, uno fra gli ultimi Benedetti sondaggi. Leggere i dati, capire il presente di Lorenzo Pregliasco, pubblicato da add editore e che forse a prima vista mi ha colpito per l’aggettivo del titolo, con quella sua sfumatura al tempo stesso sacrale e ironica: i sondaggi sono benedetti, cioè provvidenziali; ma sono anche benedetti, e pertanto snervanti quando non cogliamo fino in fondo cosa stiano cercando di dirci.

Pregliasco, in tal senso, è un maestro attendibile e scrupoloso. Offre una panoramica vasta ma agguantabile, si muove con eleganza fra esempi e teorie, alterna casi studio di paradossi e compromessi. E permette di impiegare i numeri per vedere il mondo con più precisione, che poi in altre parole equivale ad abitarlo e a cambiarlo meglio e in meno tempo. Così, approfondire la tematica ha circoscritto il pericolo che io venga fuorviata. Ha combattuto il mio analfabetismo e mi ha fornito una serie di indizi per stanare i miei bias e cercare di superarli.

D’altronde, in un mondo in cui le sfumature vengono spesso livellate a vantaggio delle dicotomie, spesso oltretutto false, riconoscere le domande mal poste e capire come orientarsi fra le interpretazioni di certi fenomeni è uno dei pochi modi che abbiamo per non finire fagocitati dai Voldemort di turno. Può succedere durante una pandemia, allo scoppio di una guerra, dopo anni di populismi. Può riguardare i sondaggi elettorali così come le mappe geografiche, le questioni ambientali o quelle di genere. La sostanza, però, non cambia: il consumo disordinato e ingarbugliato di statistiche serve a poco, finché i dati non vengono aggregati con cautela, confrontati solo con parametri adeguati, riconosciuti nei loro limiti, citati in argomentazioni coerenti e di pubblica utilità.

A differenza di quanto accade con la saga di Harry Potter, rispetto ai sondaggi non c’è magia che tenga: si tratta di indicatori parziali, spesso indiretti, ma che possiamo stabilire di osservare sulla base di diversi punti di vista, a partire da più di una legenda e attraverso una gestione sempre aperta a nuove possibilità. Leggerli nel modo più adeguato, e tanto più leggere una guida su come leggerli davvero, significa imparare a non esserne schiavi. A non cadere in un tranello. A reagire al fumo gettato sugli occhi con un controincantesimo finalmente efficace.

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