La giornalista catanese guarda a fondo nel mondo delle carceri attraverso le testimonianze di sette detenuti. Storie che costringono il lettore a confrontarsi con le domande più scomode e infrangere il muro del silenzio

Sembra quasi di sentire il rumore delle chiavi che aprono e chiudono cancelli arrugginiti, lasciando lì, fermo e immobile, quello spaccato di umanità. Che esiste. E va oltre le sbarre, i reati commessi e i pregiudizi. Storie di vita, errori, sogni spezzati e quel bivio – tra scelte giuste e sbagliate, tra speranza e disperazione. Uomini. C’è tutto questo nelle pagine del libro-inchiesta Liberaci dai nostri mali, scritto dalla giornalista catanese Katya Maugeri, con la prefazione di Claudio Fava e la postfazione del giornalista Salvo Palazzolo, pubblicato lo scorso aprile dalla Villaggio Maori Edizioni.

Un registratore, un taccuino per annotare le sue ore d’aria e il coraggio di un’attenta cronista, che racconta il dramma umano, il disagio psicologico di chi ha commesso un reato, lasciando fuori sogni e rimpianti. Un viaggio dentro le carceri per rompere il muro del silenzio, contrastare l’indifferenza e rispondere a domande scomode. Come preservare la dignità umana? Come accompagnare i detenuti a ricostruire un percorso di vita? Cosa c’è dietro ogni reato? Ma soprattutto come garantire al detenuto opportunità reali di inserimento dopo la fine della pena? Domande che, neanche a dirlo, sono accompagnate da numeri in crescita: più suicidi nelle carceri, più casi di recidiva, lì fuori. Quel fuori tanto desiderato e immaginato da una finestra, in una stanza piccola, dove si fa fatica persino a vedere il cielo. Quel fuori, dove diventa difficile e faticoso restare. Che esclude le fragilità.

DAL REATO AL CAMBIAMENTO. «Non lo so perché si sceglie questa strada, sa? Cosa passa nella nostra mente? Chi lo sa, forse un corto circuito che annulla il concetto di bene e male». «Noi avremo sempre un marchio indelebile che brucerà sempre». «Questa pena continuerò a scontarla anche fuori». Sono solo alcune delle testimonianze raccolte dalla giornalista catanese, che aprono una lente di ingrandimento sulla vita che scorre oltre le sbarre, una vita macchiata da errori che diventano macigni dai quali è difficile liberarsi. Sette storie, sette uomini, sette persone – e non soltanto detenuti – che affidando alla giornalista il loro io, quello imperfetto, quello dalle tinte scure, quello che merita di essere ascoltato. E proprio dall’ascolto, da quella conversazione, si ha quasi la sensazione di restituire dignità e un po’ di pace. Perché contro quel silenzio assordante, che non lascia spazio al cambiamento, ma solo all’errore, qualcuno ha scelto di premere play e raccontare la realtà carceraria lasciata spesso in ombra. E dare voce alle fragilità, alle debolezze: rimettere al centro le persone, che cercano in tutti i modi di cambiare. Di non essere più quel figlio sbagliato, quell’uomo da evitare, quel padre di cui vergognarsi.

OLTRE LE APPARENZE. La vita in carcere scorre lenta, è un distacco dalla realtà e ridefinisce i confini tra dentro e fuori, passato e presente. Un tempo che dovrebbe servire alla riflessione, smaltire la rabbia, superare ogni forma di colpa e prendere coscienza delle responsabilità. È questo il senso delle pagine di Liberaci dai nostri mali, un chiaro invito a guardare da vicino una realtà, cruda, difficile, ma a cui non possiamo sottrarci. Dopotutto «è facile ascoltare soltanto belle storie a lieto fine – scrive la Maugeri – che ci raccontano l’amore e le sfumature che siamo abituati a riconoscere, le sole che accettiamo. E i colori che non conosciamo? Quelli scuri, magari opachi, offuscati. Brutti. Perché la società non ha spazio per le imperfezioni».

UN LAVORO GIORNALISTICO. Da cronista, sensibile alle tematiche a forte impatto sociale, l’autrice racconta uno spaccato di umanità, non attingendo a notizie o dati che rimbalzano sul web, ma “oltrepassando le sbarre”, raccogliendo fisicamente le testimonianze per dare voce prima di tutto alla persona. Ѐ un libro che smuove le coscienze, restituisce i contorni di una verità aspra, spinge alla riflessione attraverso il dramma di uomini che dal carcere dovrebbero trovare quella spinta per cambiare. Ma se quei macigni sono ancora lì dopo anni, qual è allora il ruolo della pena? Non dovrebbe forse aiutare a rieducare il detenuto? Ecco dunque che Liberaci dai nostri mali assume una duplice valenza: ricostruire l’identità del carcerato e recuperare il ruolo del giornalista. Superare la logica della notizia “facile”, rimettere al centro il valore della verità ma soprattutto non smettere mai di interrogarsi sui fatti. Ascoltare e osservare, perché come scrive Claudio Fava nella sua prefazione: «se non guardi, se non ascolti, fai solo cronaca, ricompili fatti e li metti in bella calligrafia, ti annoi e annoi gli altri. Katya invece fa giornalismo».

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