Quella che doveva essere l’estate della rinascita nel settore della musica dal vivo è contrassegnata da concerti annullati, manifestazioni cancellate, teatri semivuoti. Avviene in tutt’Italia. Paura del contagio, si dice, in molti casi indotta da organizzatori che addossano alla pandemia gli errori della loro incapacità. Più che il Covid, sono la mancata programmazione ed i pasticci di promoter improvvisati le cause della débâcle. I luoghi dello spettacolo, infatti, sono quelli più controllati e più sicuri, dove non si sono registrati contagi, al contrario di matrimoni e feste casalinghe, spesso invece diventati veri e propri focolai.

In questo contesto rientra l’annullamento dell’Indiegeno Fest, uno degli eventi dell’estate siciliana che da sette anni rappresenta un appuntamento fisso per il popolo della musica. Un annuncio inatteso, a pochi giorni dall’inizio degli spettacoli (1-5 agosto) che, quest’anno, sempre a causa delle restrizioni sanitarie, avrebbe avuto il Teatro antico di Tindari come unica location, ma un cartellone di tutto rispetto, com’è nelle tradizioni della rassegna, che prevedeva anche l’unico concerto di Carmen Consoli in Sicilia prima dell’evento dell’Arena e del tour nazionale. Neanche a dirlo, vista anche la limitata capienza del teatro, già un piccolo scrigno di per sé, alcune serate registravano il “sold out”.

«Le prevendite di tutti gli eventi stavano andando bene considerando la situazione», confermano gli organizzatori Josie Cipolletta e Alberto Quartana. «Forse perché abbiamo sempre comunicato il festival come un’esperienza e un progetto. Non ci è mai piaciuto parlare di concerto, infatti l’evento del 5 agosto, all’alba, quello tra i più attesi della nostra manifestazione, era costituito da tre concerti».

La doccia fredda a dieci giorni dal debutto. «Dopo gli ultimi incontri con le istituzioni, dove abbiamo portato le nostre istanze e motivazioni, abbiamo dovuto prendere atto, con molta amarezza, che non ci sono le condizioni per ospitare il nostro festival», recitava il comunicato con cui si annunciava l’annullamento della ottava edizione dell’Indiegeno Fest. «Contributi economici incerti, risposte tardive, lente, cambiamenti in corsa, fino all’ultima insostenibile novità sui vincoli (non risolti nonostante le rassicurazioni) alla capienza del Teatro Greco di Tindari. Ancora: l’inadeguatezza a reperire fondi per sostenere il nostro festival e, da parte delle istituzioni locali e regionali, a gestire le tempistiche per la preparazione di eventi così complessi».

Davvero paradossale essere stati tra i pochissimi a riuscire a mettere in piedi l’anno scorso un Festival in piena pandemia ed essere costretti ad arrendersi nell’estate che dovrebbe essere della rinascita?
«Si, lo è. Per noi è un’amarezza trovarci in queste condizioni. Lo scorso anno siamo ripartiti subito, per dare un segnale al pubblico, ai lavoratori e al territorio. Speravamo che i nostri sacrifici dello scorso anno sarebbero stati compresi dalle istituzioni. Ad esempio, i nostri partner locali erano ben contenti di vedere la nostra tenacia nel portare avanti questo progetto anche in un momento difficile come questo, ed abbiamo iniziato a lavorare in sintonia come facciamo sempre».

«Per quanto riguarda ciò che sta avvenendo, il problema secondo noi è che quest’estate c’è stata un’apertura in affanno, totalmente scoordinata.  Ci siamo ritrovati con eventi in ogni dove, organizzati anche da persone che nella vita non fanno questo lavoro. Vediamo che non ci sono criteri stabiliti e manca tra l’altro la cognizione di ciò che avviene ad esempio nel paese accanto nello stesso giorno. Insomma, non è così che lavora il nostro settore. Non basta avere una venue e il nome di un cantante, ma bisogna valutare tanti fattori. Infatti, assieme alle nostre associazioni di categoria come KeepOn Live, stiamo denunciando proprio la scelleratezza di questo modus operandi. Vediamo il tutto senza linee guida e a pagarne le conseguenze sono gli operatori che fanno questo di mestiere».

La causa determinante è stata l’assenza di finanziamenti pubblici o il mancato ampliamento della capienza del Teatro di Tindari? Quest’anno, tra l’altro, vi veniva richiesto il pagamento di un canone raddoppiato rispetto all’anno scorso (cosa che a Taormina non è successo), più straordinari e pulizie, più il 3% dell’incasso.
«Sono mancate prima di tutto la concretezza, la progettualità e l’operatività da parte istituzionale. Pensiamo che sia gravissimo mettere in queste condizioni gli operatori del settore a pochi giorni da un evento. Le direttive definitive non possono arrivare così a ridosso sia in termini di capienza che di contributi locali.  Si rende conto che il Teatro di Tindari ad oggi forse non lo hanno ancora allestito? Questo per noi delinea un modo approssimativo di portare avanti i progetti. I finanziamenti locali avrebbero coperto il 15% del budget, ma per una capienza differente rispetto a quella che amaramente abbiamo conosciuto in modo tardivo».

«Sono mesi che interloquiamo con le istituzioni in merito a questi temi e pensiamo sia anche una mancanza di rispetto nei confronti del nostro settore non avere contezza gestionale su eventi così complessi e luoghi preziosi. Se ci avessero detto fin da subito le condizioni allora avremmo fatto altro. Ci reinventiamo sempre ma non facciamo magie a così pochi giorni. A Taormina istituzioni e operatori lavorano con largo anticipo, questo sicuramente perché si tratta del teatro più importante della Sicilia, insomma il vessillo di “Sicily Happy Island”, ma sappiamo benissimo che la Sicilia ha una ricchezza di luoghi meravigliosi che purtroppo sono spesso dimenticati o a volte diventano un fanalino di coda per il territorio siciliano.  Per ogni teatro i parametri sono stati differenti. Sappiamo ad esempio che dei teatri di pietra, molto più piccoli di Tindari, hanno ottenuto la stessa capienza».

Avete mai quantificato i riflessi economici dell’Indiegeno Fest sul territorio?
«Certo, è da un po’ di anni che lo facciamo. Indiegeno Fest, nella sua forma originale è costituito da eventi in tutto il Golfo di Patti, per 7 giorni. Basti pensare che nel 2019, prima della pandemia, Indiegeno ha portato un indotto di quasi 30mila persone in una settimana (considerando anche gli eventi gratuiti e attività che si fanno in collaborazione con le associazioni locali come visite guidate, escursioni e parapendio) con un’utenza quasi per niente locale, proprio perché come comunicazione lavoriamo a livello nazionale, oltre che capillarmente sul territorio. Non sappiamo se per altri eventi sul territorio di Patti è successo. Per questa edizione ridotta ci sarebbero state circa 3.000 persone, se ce l’avessero permesso ovviamente rispettando i protocolli. Solo per lo staff abbiamo coinvolto 12 strutture ricettive e 12 tra catering e ristoranti. Non ci sembra poco».

Il vostro Festival si metteva in luce per le scelte originali e coraggiose dal punto di vista musicale, oltre che per gli scenari in cui si svolgevano gli spettacoli. E dava grande visibilità mediatica al territorio. Come l’Ypsigrock sulle Madonie, l’Indiegeno puntava i riflettori su una zona fuori dalle rotte del turismo di massa.
«Sì, Indiegeno è un “boutique festival”. Fin dalla prima edizione abbiamo puntato sul seguente motto: “Scoperta della musica attraverso il territorio e scoperta del territorio attraverso la musica”. Inoltre, costruire una lineup con attenzione ai luoghi, con artisti conosciuti, alternata ad artisti emergenti è alla base del nostro concept. Questo ti permette di avere un target lontano dalle logiche di un turismo mainstream. Si tratta di turismo musicale che attrae per lo più un target che è interessato a visitare dei luoghi attraverso un’esperienza musicale».

La notizia dell’annullamento dell’edizione 2021 ha colto di sorpresa e amareggiato non solo il pubblico, ma anche molti artisti che del festival messinese sono stati ospiti. Fra questi Tosca. E tutti si chiedono: l’Indiegeno Fest avrà un futuro?
«Sì, noi siamo fiduciosi nel continuare a portarlo avanti, perché sappiamo benissimo cosa abbiamo costruito in questi anni e cosa potremmo fare ancora, ma c’è anche bisogno che la macchina istituzionale non sia così immobile come abbiamo visto. In questi giorni siamo anche stati contattati da altri territori, ma speriamo intanto che le istituzioni dei luoghi da cui siamo partiti comprendano che quello di quest’anno sia stato un grosso errore».

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