Uno, nessuno, centomila. Quanti sono i volti di Paola Munda? Corista lirica, cantante, circle singer, folksinger, cantautrice, cuntastorie. Musicista, compositrice, interprete, ma anche insegnante. Giudice e concorrente in concorsi musicali. Palermitana, ma un po’ yankee per le sue lunghe permanenze oltre oceano. «È vero sono una persona molto attiva», sorride. «Cerco sempre nuove occasioni per mettermi in gioco con me stessa».

Nonno tenore, mamma pianista, sorella soprano, Paola Munda già a 10 anni fa i suoi primi esercizi vocali nel Coro del Teatro Massimo di Palermo. «Rimasi fino a 17 anni, poi fui costretta a sospendere l’attività canora», racconta. Otto anni di full immersione nell’università per conseguire due lauree e diverse specializzazioni in psicopedagogia. Portati a termine gli impegni di studio, la ragazza palermitana riprende la sua passione, iscrivendosi alla Palermo Jazz International School. «Da un punto di vista vocale fu un passaggio difficile dall’opera alla musica leggera: io, poi, venivo anche da otto anni di silenzio assoluto». Lì incontra Joey Blake, uno dei membri fondatori e attuali di Voicestra, l’ensemble a cappella creato da Bobby McFerrin. Da lui apprende i segreti del circle singing: «È una pratica tribale, utilizzata per comunicare, festeggiare, celebrare: è un mezzo di comunicazione sociale ancestrale», spiega Paola Munda. «McFerrin lo ha codificato: c’è una persona che improvvisa sul momento e le altre che stanno a cerchio diventano una sorta di orchestra umana».

Per specializzarsi in questo genere, la cantante siciliana nel 2014 si trasferisce a Boston. Complice l’amica Sissy Castrogiovanni, s’iscrive al Berklee College of Music, che frequenta per un anno. Ottenuto il diploma, le incertezze di una carriera nella musica convincono però Paola Munda a tornare in Sicilia. A malincuore. A Palermo ha un ruolo più sicuro nella scuola pubblica. Ma la tentazione americana è più forte e dopo due anni rieccola a bordo di un volo per Boston, dove diventa regina di circle singing, consolidando la sua attività artistica grazie a un talento che spazia in tutti i generi. «Sono entrata jazzista al Berklee e sono uscita folksinger», ride. «Mi sono appassionata alla world music, mi sono creata un background di musica indiana, ho fatto parte di un coro balcanico, ho studiato musica microtonale e turca: la musica del popolo è diventata la mia musica». Ed ha scoperto le radici siciliane. «Quando sei molto lontano da casa viene fuori la natura delle tue origini. Prepotentemente emerge quella identità della quale stando in Sicilia non ti accorgi o ti dimentichi di possedere».

Nasce {Amuri} Amari, album in dialetto di Paola Munda che ha per tema il viaggio, il legame travagliato dei siciliani con la propria terra. Accanto a composizioni originali, la rivisitazione in chiave moderna di Terra can un senti di Rosa Balistreri e di Picchì picchì chianciti di Alberto Piazza: l’avanguardia incontra la musica popolare, la drammaticità diventa spettrale minimalismo, la tradizione viene filtrata attraverso l’elettronica, i rumori della Vucciria e il garrito di un gabbiano catturati nelle campionature. Parallelamente pubblica con il nome di The Lotus Sound il disco Keep Dancing nel quale si muove nella black music con un gruppo di circle singing composto da dodici ragazzi. Entrambi i progetti entrano nel ballottaggio per le nomination ai Grammy Awards come “Album of the year” e “Best World Music Album”.

Alle due anime, quella popolare e l’altra black, Paola Munda alterna una terza, che la riporta ai suoi inizi nel coro del Teatro Massimo di Palermo. È influenzata dall’opera, infatti, la canzone Pause for Umanity composta per le Nazioni Unite, un progetto nel quale sono coinvolti 88 artisti provenienti da 26 Paesi. «È nata da una mia circle song, orchestrata dal maestro concertatore spagnolo Pedro Osuna», spiega l’autrice. «Ed è la prima volta che affido una mia composizione a un’altra voce. Dopo una lunga e severa selezione, la scelta è caduta sulla cantante mediorientale Mayssa Karaa, che è anche la direttrice della Berklee school di Abu Dhabi. Grazie a lei, il brano si abbellisce di sapori orientali».

A questi progetti in terra americana, l’artista palermitana affianca anche l’attività di selezionatrice e giudice per i Cara e gli Ava awards, oltre a essere membro attivo di Casa (Contemporary a cappella society of America). Sorprende, quindi, di trovare il suo nome tra i partecipanti alle edizioni 2021 di Sanremo rock e di Musicultura. «È accaduto lo scorso giugno, quando sono tornata a Palermo e sono rimasta bloccata a causa della pandemia», racconta. «Mi sono sentita mancare l’aria. Come esibirmi? Come evolvermi? E chi si ferma è perduto. Ero disperata, depressa. Il Covid è stata un’esperienza difficile da affrontare. Ho ripreso a insegnare nella scuola dell’infanzia, ho subìto un blocco creativo. Poi una notte ho visto che c’erano questi bandi aperti, per Sanremo e per Musicultura. E mi sono iscritta. Devo dire che Musicultura è una manifestazione che ho sempre apprezzato, perché una delle poche in Italia a prestare attenzione alla musica popolare, al folk, all’indie, al cantautorato, ai quali in genere viene dato poco spazio».

A conferma del suo talento, Paola Munda viene ammessa ad entrambi i concorsi. In settembre sarà in gara a Sanremo Rock nel riaperto Teatro Ariston, pandemia permettendo, nella sezione “trend”, mentre in questi giorni ha cominciato al Teatro Lauro Rossi di Macerata le audizioni dei 63 finalisti di Musicultura, manifestazione che si concluderà in settembre allo Sferisterio. «Porto due brani dell’album {Amuri} Amari: L’egghiri a biriri com’è e Picchì picchì chianciti. Canto la tristezza di dover cercare soddisfazioni professionali altrove, lontano dalla propria patria. Essere accolta da queste due manifestazioni sembra una risposta al mio sentimento: la “terra ca nun sente” mi ha risposto!».

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