Un evento tanto atteso nella città etnea per celebrare la patrona in un connubio di devozione e folklore a cui sono legate anche le leccornie preparate per l’occasione

Non valser spine e triboli/ non valsero catene/ né il minacciar d’un Preside/ a trarla dal suo Bene/ a cui dall’età eterna/ fu sacro il vergin fior. Così recitano alcuni versi composti da Mario Rapisardi nella sua Ode del 5 febbraio 1859 a Sant’Agata, una giovane donna vissuta nella città etnea durante il III secolo, vittima delle attenzioni del proconsole Quinziano, che nonostante le torture subite non ripudiò la sua fede. In onore della sua santa patrona, dal 3 al 5 febbraio, la città di Catania ospita una delle feste religiose più seguite al mondo. Per l’occasione, l’estro culinario dei devoti trova la sua espressione nella preparazione di due dolci confezionati in onore della Santa: le “Minne” di Sant’Agata e le “Olivette”.

MINNUZZE. Noti anche come Cassatelle di Sant’Agata, sono dolci al gusto di ricotta, arricchita da canditi e cioccolato fondente, ricoperti di glassa bianca che per la loro forma semisferica e la ciliegia candita posta al centro ricordano il seno di una donna. Un riferimento al martirio di Agata, alla quale secondo la tradizione furono strappate le mammelle come tortura per il suo rifiuto a rinnegare la fede cristiana. Una tradizione culinaria che ha trovato posto anche nella letteratura. I dolci tipici delle celebrazioni agatine lasciano perplesso il protagonista de “Il Gattopardo” di Tomasi di Lampedusa: «Sembrava una profana caricatura di Sant’Agata, esibente i propri seni –  riflette infatti il principe di SalinaCome mai il Sant’Uffizio, quando poteva, non pensò di proibire questi dolci?».  Dal sapore diverso, invece la comparsa delle cassatelle nel romanzo tutto al femminile di Giuseppina Torregrossa Il conto delle minne (Mondadori, 2009). L’opera inizia infatti con una nonna che insegna la preparazione del dolce alla nipote, con cui condivide il nome Agata.

Le “olivette” di Sant’Agata

OLIVETTE. Come suggerisce il nome, si tratta di piccoli dolci di pasta di mandorla, colorati di verde e ricoperti di zucchero, detti “aliveddi ri sant’Aita” che si ricollegano a un episodio miracoloso della vita della patrona di Catania. Si narra che mentre era in fuga dai soldati, Agata si fermò per allacciare un calzare, quando vide sorgere davanti ai suoi occhi un albero di ulivo che le fornì un riparo e i frutti con cui sfamarsi.

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