Il folklorista palermitano ha scandagliato meglio di chiunque altro i significati nascosti dietro gli usi e i costumi più tipici dei siciliani. Le marionette più celebri di tutte, in questo senso, animate da forti sentimenti, hanno una profonda connessione con la religione e ciò spiega, ancora oggi, la cura con cui la tradizione viene tramandata ai più giovani

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]L’[/dropcap]uomo è sempre lo stesso; i suoi gusti e le sue tendenze si modificano, mutano, ma egli rimane uomo». Questa è la diapositiva sulla natura umana che ci regala il palermitano Giuseppe Pitrè, il più grande studioso di folklore isolano mai esistito, dalle pagine della sua monumentale opera “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”, edita in ben 25 volumi tra il 1871 e il 1913. Tenendo come presupposto fondamentale questo profondo ritratto, Pitrè ci viene in aiuto per cercare di dare una spiegazione a un fenomeno quantomeno curioso: cosa si cela dietro il fascino che i pupi esercitano su di noi ancora oggi? E perché tale costume, che continua imperterrito ad essere trasmesso generazione dopo generazione, ha trovato in origine un così tenace radicamento in Sicilia? Semplice: perché il siciliano è, per natura, egli stesso tenace nell’aggrapparsi alla propria storia.

Il significato dell’Opera dei Pupi, e delle appassionanti vicende di Carlo Magno e dei suoi fidati paladini, ha, per noi abitanti dell’isola, un significato quasi ancestrale, che ci riporta ad un tempo quasi inattingibile dagli strumenti della ragione e proprio per questo irresistibilmente suggestivo. Se pensiamo, poi, che la patrona di Palermo, Santa Rosalia, viene fatta discendere in linea retta proprio dal grande sovrano carolingio, ecco che il quadro si chiude all’insegna della commistione cristiano-pagana. Ed è proprio la religione, per Pitrè, il punto focale della questione: l’epica battaglia tra cristianissimi eroi come Orlando e Rinaldo e gli infedeli e minacciosi saraceni tocca le corde di un intero popolo, quello siciliano, che della devozione religiosa fa uno dei suoi più caratteristici marchi identitari. In questo senso, dunque, è pienamente comprensibile l’attenzione che il nostro folklore ha posto nei confronti di un’età, quella cavalleresca medievale, così profondamente impregnata di spiritualità, sia nella realtà storica che nelle leggende che sono giunte fino a noi.

Giuseppe Pitrè
Giuseppe Pitrè

Il tema dei pupi, però, possiede sfumature ancora più ampie. Ogni spettacolo è per il siciliano, specie per colui che fatica a leggere e a scrivere, un rileggere i libri della memoria, un ripercorrere delle pagine che, inconsciamente, ci appartengono e ci descrivono, ci dicono chi siamo e da dove veniamo. I pupi, proprio loro, coinvolgono ogni siciliano in prima persona, perché mettono in scena l’individualità di ognuno, le aspirazioni di grandezza e libertà che si scontrano contro un male misterioso, sfuggente, che intralcia il nostro cammino esistenziale. Assistere ad uno spettacolo dei pupi è, in sostanza, conoscere ciò che siamo sempre stati, osservare all’esterno i frammenti del passato che si incastrano e bussano ai frammenti dell’anima di oggi, malata di sicilitudine. Ecco svelato il segreto delle marionette più celebri di tutte: la loro capacità – dice Pitré – di soddisfare la fantasia e l’immaginazione del popolo siciliano col racconto di amori e imprese nobili, di generare entusiasmo e meraviglia in chi ritrova, materializzate in scena, le inquietudini e le speranze che lo accompagnano dalla nascita. E, visto che l’uomo rimane tale, altrettanto duratura continuerà ad essere la vitalità dell’Opera dei Pupi, patrimonio culturalmente intimo di una terra di paladini sempre alla ricerca di qualcosa.

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