“Camurrìa!”, “cchi camurrìa” o “si ‘na camurrìa” o in alternativa “si ‘na càmula” o “ti mittisti a càmula” tutti i modi di dire in dialetto per fare notare a qualcuno che sta esagerando con le sue ciarle

Il siciliano, quando vuole, sa essere un vero rompiscatole. Non che in altre regioni d’Italia la gente sia una scocciatura di minore portata: l’unica differenza sta nel fatto che gli abitanti della Trinacria riescono a dare fastidio anche a perfetti sconosciuti.

Non è raro, infatti, che alla fermata dell’autobus un’anziana signora inizi con una scusa a raccontarci i più intimi dettagli della sua famiglia fino alla settimana generazione, che lo faccia il panettiere o addirittura il postino, per non parlare di chi in un negozio non abbiamo neanche interpellato per un’informazione e che già si sta sottoponendo a un interrogatorio volontario, nemmeno fossimo entrati con la divisa da carabinieri.

Anche in casa genitori, figli e parenti di ogni sorta trovano sempre un modo per risultare insistenti con le loro chiacchiere, opinioni o richieste. Ed ecco che non si può fare a meno di esclamare “camurrìa!”, “cchi camurrìa” o “si ‘na camurrìa” (se ci si dà del tu), perché una camurrìa non è altro che una scocciatura, di quelle che vorremmo risparmiarci volentieri ma che siamo obbligati a sorbirci.

Dal sostantivo è possibile formare anche l’aggettivo “camurriùsu/sa”, in cui è forse più facile da intuire l’etimologia di questo modo di dire. Per la precisione, ad avere dato origine al termine dialettale è la camorra, organizzazione mafiosa della Campania e famosa perché i suoi membri tendevano spesso ad assillare la povera gente con ricatti, minacce ed estorsioni, dai toni chiaramente molto ostinati.

In Sicilia la sfumatura di significato è più leggera e ormai priva di connotazioni criminali, tant’è che secondo il Nuovo dizionario siciliano-italiano del 1876 di Vincenzo Mortillaro deriverebbe da “gonorrea” o addirittura dal toscano camòrro, cioè “malanno”. Ad ogni modo, se qualcuno dovesse trovarla poco gradevole da usare si ricordi che esiste pur sempre un’alternativa: “si ‘na càmula” o “ti mittisti a càmula” si può dire infatti a chi è particolarmente petulante, intendendo “sei una seccatura”. E magari non tutti sanno che “càmula” è un termine al 100% mutuato dall’italiano, dato che in zoologia la “càmula” è una particolare tipologia di insetto parassita, simile ai tarli e alle tarme.

Gira che ti rigira, insomma, un modo per fare notare a qualcuno che sta esagerando con le sue ciarle in dialetto si trova sempre.

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