Durante un intervento al Salone del Libro di Torino 2023, la scrittrice, critica e opinionista ha raccontato così la sua reazione alla diagnosi di carcinoma reale che ha ricevuto di recente: «Io sto vivendo il tempo della mia vita adesso. In questo momento, che non ho più filtri, non ho più paure, nessuno mi può più fare niente».

Perché quando ci rendiamo conto sul serio che il nostro tempo è contato, quantificabile, limitato, gran parte delle nostre inibizioni inevitabilmente decadono. Un po’ come mostravano sul grande schermo anche i comici siciliani Ficarra e Picone nel 2009 con il film La matassa, in cui Paolo (Valentino Picone) pensa per un equivoco che le sue analisi al sangue siano così disastrose da vivere ogni momento della sua vita come se fosse l’ultimo, perché ha l’impressione che a breve l’ultimo debba arrivare davvero.

E un po’ come accade, in tempi più recenti, nel romanzo Le sette lune di Maali Almeida di Shehan Karunatilaka, vincitore del Booker Prize nel 2022 e portato ora in Italia da Fazi nella traduzione di Silvia Castoldi. Anzi, in questo caso la situazione è ancora più paradossale, perché Maali – il protagonista – all’inizio della storia è già morto.

Non capendo come possa essere successo e non avendo nessun ricordo dell’accaduto, il giovane fotografo srilankese ha però solo sette giorni per scoprire la verità, per rimettersi in contatto con le persone a cui teneva di più e affidare loro una scatola contenente i suoi scatti più significativi sulla guerra civile del suo Paese.

Se vogliamo essere più precisi, nel testo scopriamo che Maali non ha sette giorni per riuscirci, bensì sette notti, ovvero sette lune. Sette fasi in cui è scandito anche il libro, che tra dialoghi brillanti e circostanze surreali ci trasportano in una dimensione coinvolgente e spiazzante, ironica e profonda, e rigorosamente imprevedibile.

Ma quel che c’è di più significativo da osservare è che Maali, nel 1990, a Colombo, non avrebbe mai deciso di superare di punto in bianco i propri limiti, cercando così a fondo delle risposte e rivelato a tal punto i propri pensieri e stati d’animo, se non fosse stato messo alle strette.

Se non avesse visto le ore scivolare via dietro di sé a un ritmo quasi insostenibile, assillante, e al tempo stesso capace di mettere in pratica un concetto che esprimeva bene il filosofo Martin Heidegger: «Se prendo la morte nella mia vita, la riconosco, e l’affronto a viso aperto, mi libererò dall’angoscia della morte e dalla meschinità della vita – e solo allora sarò libero di diventare me stesso».

Una consapevolezza che ha portato Michela Murgia a telefonare a Vogue per proporre loro di organizzare un reportage dall’Orient Express, Paolo a cacciare fuori dal proprio hotel i mafiosi che chiedevano il pizzo da anni, Maali ad apparire nei sogni di chi è rimasto in vita per influenzare sottilmente le loro decisioni. E che si trasforma per noi in uno sprone, dandoci lo spunto giusto per seguire il loro esempio ed essere presenti pienamente nel qui e ora.

Perché, come scrive Shehan Karunatilaka nel suo romanzo intriso di leggende induiste e concetti buddhisti, colpendo nel segno e lasciandolo – il segno – a noi che leggiamo, «non avresti dovuto aspettare fino alla settimana luna», perché «non c’è tempo per le stupidaggini». C’è tempo solo, finché possiamo, per non sprecare altro tempo.

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email