Lirio Abbate: «La lotta di Rosa contro la ‘ndrangheta è un omaggio al coraggio delle donne»

«La prima proiezione in sala ha avuto un’ottima accoglienza, con lunghi e calorosi applausi, e questo ci ha dato la misura dell’impatto che il tema ha avuto sul pubblico, tenuto conto anche dei sold-out nelle repliche successive». È appena rientrato da Berlino Lirio Abbate, scrittore e giornalista che ha firmato a quattro mani con Edoardo De Angelis il soggetto del film Una femmina presentato alla 72esima edizione della Berlinale nella sezione ‘Panorama’.

«Questo film è un atto d’amore verso la Calabria, verso tutte le persone per bene che ogni giorno vivono con onestà, lottando contro le violenze». Le “donne ribelli” che ispirato la pellicola, Abbate le ha incontrate ed ascoltate – senza giudizio e con piena empatia – proprio in Calabria, raccogliendo diverse testimonianze che hanno portato alla pubblicazione del libro “Fimmine ribelli – Come le donne salveranno il paese dalla ‘Ndrangheta” (Rizzoli – 2013).

Dalle pagine al grande schermo il passo è stato quasi immediato. «Conoscevo già De Angelis che aveva apprezzato il libro e incontrandoci abbiamo cominciato a lavorare sul soggetto in primis e poi sulla sceneggiatura insieme a Serena Brugnolo e Adriano Chiarelli. Lui a sua volta conosceva Francesco Costabile a cui, senza pensarci molto, ha voluto affidare la regia per raccontare sul grande schermo queste storie. Il linguaggio cinematografico è certamente diverso da quello giornalistico o saggistico; nel film la protagonista è un compendio di tutte le testimonianze raccolte nel libro. Rosa (il personaggio chiave di Una femmina interpretato da Lina Siciliano, al suo debutto come attrice) accoglie in sé tutte le sfaccettature dello spaccato esistenziale vissuto nella realtà da quelle donne che hanno avuto il coraggio di ribellarsi ad un sistema patriarcale antiquato che, declinato in diverse forme, si ritrova in molte culture non solo nel Sud Italia».

La protagonista del film una giovane dal carattere ribelle, che vive insieme alla nonna e allo zio in un paesino calabrese, tra le montagne e i corsi d’acqua ormai asciutti. Un episodio di violenza ai danni di una prostituta, picchiata dal fratello di Rosa, da il la ad una parabola narrativa che la costringerà a fare i conti con la verità sulla morte della madre – la quale, secondo i racconti della famiglia, si sarebbe tolta la vita – e a ribellarsi al codice della ‘ndrangheta. In tutti questi anni – si legge nello story board della pellicola – Rosa ha covato rabbia per l’assenza del genitore, ma soprattutto per quello che sembra un futuro già deciso. Riemerso il dolore, la collera che lo nutre, che inizialmente sfociava nella ribellione, ha bisogno di altro per essere placata: una personale vendetta di sangue. Vendicarsi, però, significa tradire la propria famiglia con tutte le conseguenze del caso.

«Oggi più che mai ci è sembrato doveroso dare voce anche attraverso il mezzo cinematografico a queste donne che hanno scoperto una nuova consapevolezza della propria condizione». È da attribuire a ciò, probabilmente, il successo che il film ha riscosso a Berlino alle prime proiezioni. «Il tema della violenza espressa in qualunque gesto è purtroppo universale e finché ci sarà anche una sola donna a subirla ogni strumento per contrastarla sarà utile e il cinema, ovviamente, raggiunge un pubblico più vasto ed eterogeneo. Abbiamo voluto veicolare un messaggio di coraggio e di forza, mostrando che c’è sempre una via d’uscita anche dalle situazioni più complesse e in apparenza irrisolvibili. Ho potuto riscontrare già con la pubblicazione del libro che la condivisione di queste storie crea un’onda di propagazione spingendo altre donne a trovare il coraggio di ribellarsi. Mi auguro che il film contribuisca in questo senso. È un film fatto con il cuore – aggiunge Abbate – arricchito dal contributo di attori bravissimi, molti dei quali al loro debutto».

“Una femmina”, uscito nelle sale cinematografiche il 17 febbraio e distribuito da Medusa Film in circa cento copie in Italia, è stato classificato come “Vietato ai minori di 14 anni” dal Ministero della Cultura – Direzione Generale Cinema e Audiovisivo, con una decisione che ha colto tutti di sorpresa. «I protagonisti del film sono gli adolescenti, vietarne la visione proprio a loro significa impedire di raggiungere quella parte di spettatori che avrebbero più bisogno di un aiuto per comprendere in quali situazioni si trovano, e ad altri fornire strumenti per ribellarsi. E tutto questo avviene proprio nel momento in cui nelle scuole si parla di mafia cercando di far nascere una nuova consapevolezza. Tutto questo appare come un sinistro monito, tanto più grave perché arriva dal ministero della Cultura».

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