Sono sempre di più i contesti in cui l’uso dell’espressione è consentito, in particolare sul Web. Ma cosa significa esattamente?

Il termine “tamarro”, che di sicuro un qualunque abitante della penisola avrà sentito almeno una volta della vita, è associato a quello che altrove sarebbe definito un “burino”, uno zoticone, una persona cafona.

Si tratta di un gergo prevalentemente giovanile, è chiaro, eppure sono sempre di più i contesti in cui l’uso di una simile espressione è consentito, in particolare sul Web. I tamarri, infatti, sono anche coloro che ascoltano una certa musica, o che pubblicano fotografie scattate in pose solo apparentemente chic, o che hanno uno stile di vita dettato con poco spirito critico dalle mode meno eleganti del momento.

Nell’antichità, però, chi erano in realtà i tamarri? Persone dal gusto estetico poco spiccato? Forse, ma solo per un’associazione di idee che deve essersi imposta in seguito. Nella cultura e lingua araba, infatti, il “tammar” non era altri che il mercante di datteri maturi, ovvero un uomo di estrazione sociale probabilmente bassa, il cui mestiere era altrettanto umile e lontano dal mondo dell’arte e della letteratura.

Da questo significato originario, nella Trinacria la parola si è poi diffusa in maniera capillare e ha iniziato a indicare più genericamente villani – dal latino “villanus”, aggettivo riferito a colui che abitava nella”villa”, ovvero in campagna. Tacciati spesso (e magari ingiustamente) di essere rozzi e poco istruiti, i contadini sono quindi diventati il fulcro di un’etichetta in vigore ancora oggi, sebbene con i dovuti distinguo.

Sarebbe importante, tuttavia, ricordarsi che i tamarri in origine erano solo abili coltivatori di terra e non necessariamente dei truzzi dagli atteggiamenti goliardici e fan di una sottocultura che attecchisce specie fra gli adolescenti. Insomma, è molto probabile che molti dei nostri avi fossero loro stessi dei tamarri, senza per questo andare in giro con grosse croci d’oro al collo o con la camicia sbottonata.

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