Dal gennaio 2020 è direttore musicale del Teatro dell’Opera di Palermo, il Teatro Massimo Vittorio Emanuele e in poco tempo, nonostante il momento difficile per il mondo intero, è riuscito a farsi notare da addetti ai lavori, pubblico, critica e non solo: stiamo parlando dell’israeliano Omer Meir Wellber. Il suo “Parsifal”, concepito con Graham Vick, è valso infatti al quarantenne direttore d’orchestra il prestigioso Premio Abbiati, riconoscimento conferito dall’Associazione Nazionale Critici Musicali. Una vittoria non soltanto per Wellber ma anche per lo stesso Teatro Massimo, il quale ha visto premiata la sua scommessa di puntare sul direttore israeliano – sorridendo ci dice che chi lo chiama sa che avrà dei problemi. La scelta di Wellber, che ha preso il posto dello storico Direttore musicale Gabriele Ferro, indica la volontà della Fondazione Massimo di aprirsi ad una dimensione quanto più internazionale possibile. Lo abbiamo incontrato in uno dei suoi concitati pomeriggi a Palermo, tra una riunione di programmazione e una prova, lui che ha la famiglia a Milano e si divide, per lavoro, anche tra Dresda, Londra e Vienna.

L’IMPATTO CON PALERMO. Il primo approdo di Wellber a Palermo risale al 2011, quando andò a dirigere una Tosca, e da allora dopo un lungo corteggiamento si è arrivati alla nomina ufficiale del 2020. «La prima volta che sono arrivato in città, dopo le presentazioni di rito, mi vennero indicate su una cartina le zone in cui non sarei dovuto andare da solo, perché sarebbe stato pericoloso. Ascoltai con attenzione ma non presi molto sul serio questi suggerimenti. Mi sono sempre sentito al sicuro qui; c’è sempre gente in giro (non adesso a causa della pandemia ovviamente), almeno nel centro storico, anche a tarda notte, è sempre una città in festa». 

I PROGETTI PER LA CITTÀ. A Palermo, Wellber scorge un potenziale inespresso che è determinato a liberare: «Ho percepito subito un grande fermento culturale, in diversi punti della città, e questa sensazione è rimasta immutata anche adesso che la vivo con maggiore assiduità. Dico sempre che non avrei potuto fare quello che sto facendo se a capo della città non ci fosse l’attuale sindaco (Leoluca Orlando – ndr), fortemente vocato all’internazionalità e alla Cultura in generale. Ho trovato sempre la porta aperta alle mie richieste e questo non è poco – ci dice sorridendo – lo chieda a chi mi conosce». Pensa in grande Wellber che, per nulla abbattuto dalle limitazioni del fare arte in streaming («abbiamo scoperto un nuovo modo di raggiungere il pubblico e non lo metteremo certo da parte» ci ha detto), pensa ad ampliare gli “spazi” del Teatro destinati alla formazione, soprattutto delle nuove generazioni. «Se le sto dicendo questo, vuol dire che ho già questi spazi – ci tiene a precisare – Il Teatro Massimo ha molto a cuore i laboratori e le attività dedicate ai giovani e lavoriamo nell’ottica di ampliare questo ventaglio di proposte».

GLI INIZI IN MUSICA. Wellber, sempre impegnatissimo, quando si trova fuori dalle mura di un teatro – lui che dice di non avere hobby – scrive. Ha già pubblicato un libro, “Storia vera e non vera di Chaim Birkner”, edito da Sellerio, e ne ha pronto un altro, scritto durante la pandemia. Ma la musica, come dice lui stesso, mantiene il suo ruolo predominante. Fin da quando era solo un bambino: «Già a tre, quattro anni volevo suonare, le mie sorelle già lo facevano: a me venne comprata una pianola. Vedevo il palcoscenico come un luogo in cui accadevano magie, avevamo tra i partenti degli attori molto famosi in Israele e andavamo spesso a teatro. Sapevo che un giorno, prima poi, sarei stato su un palco anch’io. Ho avuto la fortuna di incontrare sempre dei grandi maestri, nei momenti giusti della mia vita, che non è una cosa scontata. Spesso un buon maestro nel momento sbagliato ti può anche far allontanare dalla musica. Nell’arco degli anni i sacrifici che si fanno (alcuni non lo sono neanche stati) cambiano; da ragazzino rinunci ad andare al mare con gli amici, da grande sacrifichi molto il tempo da passare in famiglia. Ma c’è sempre un punto fermo: la musica viene sempre prima di tutto, nel senso che non accetta di essere messa al secondo posto e, se provi a farlo, in un attimo sei fuori». In ogni caso, il direttore ha trovato anche il tempo per perfezionare l’italiano, oltre all’inglese, al tedesco, all’aramaico e al russo: «Se non conosci le lingue – dice – non entri nella cultura di un posto o nell’anima delle composizioni musicali. Per questo non ho ancora finito di imparare». 

Qualche mese fa, una sua intervista campeggiava sulla prima pagina del quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung dedicata al racconto di Palermo, che la definiva una delle “città più aperte al mondo”. Se sono questi i “problemi” che porta Wellber gli auguriamo, allora, una lunga e fruttuosa permanenza.

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