Venti panettoni e una cinquantina di pandori. Al civico 20 di via Montevergini, a Palermo, sono appena arrivati dei nuovi sacchetti con dentro cibo e quaderni. Osas Egbon li conta con cura e scrive in un pezzo di cartone “non toccare già contati”. In piccolo segna la quantità della merce arrivata e ringrazia chi ha voluto fare queste donazioni.

L’INCUBO DELLA STRADA. Osas ha quarant’anni, quindici treccine nere raccolte in un codino e una grande forza di volontà. 19 anni fa, quando ha lasciato la sua città di origine, Benin City in Nigeria, per venire a Palermo, è stata costretta a prostituirsi. «Quando siamo arrivate qui – racconta – siamo state trattate come oggetti di strada, come un mezzo per fare soldi». Grazie all’aiuto di alcune associazioni, che le hanno trovato lavoro, Osas è riuscita a ripagare i debiti con i trafficanti. Adesso vive con i suoi due figli nel capoluogo siciliano e si batte per la libertà delle donne nigeriane. E proprio gli omicidi di due di loro, avvenuti tra la fine del 2011 e l’inizio del 2012, l’hanno spinta, sei anni fa, a mettere su un’associazione che possa supportarle. «Ho capito – spiega – che il mio futuro non poteva essere la strada.  Forte della mia esperienza, ho deciso di aiutare altre donne a scampare a quel tremendo destino. Noi siamo vittime, ma insieme possiamo lottare contro questo».

DESIDERIO DI RISCATTO. Nasce così “Women of Benin City”: «Ci sono molte donne ancora nelle connection house e ci impegniamo per sottrarle al giro criminale. Il primo passo per aiutare una vittima di tratta ad uscire dal giro è trovarle lavoro. Se una donna non è autonoma economicamente, non può trovare il suo futuro». Mentre riflette sul difficile destino di molte donne nigeriane, Osas pensa alla figlia di venticinque anni, per ora in America a studiare letteratura all’università. Ne va molto fiera, è una mamma fortunata. Intanto a Palermo si uniscono le forze. Le donne del Benin City creano rete e prendono le distanze dalla mafia nigeriana. Dal 2019 Osas ha messo su anche un banco alimentare, per dare una mano tangibile alle famiglie in difficoltà. E se prima del Covid le famiglie che si recavano nei locali dell’associazione per chiedere un aiuto erano 60, adesso sono salite a 135. «Da quando la pandemia ha avuto inizio, le famiglie bisognose sono aumentate. Molta gente non ha più un lavoro e in più i nigeriani hanno tantissimi bambini: servono pannolini, omogenizzati, giocattoli».

STORIE DA CONDIVIDERE. Nonostante le donne nigeriane siano restie nel chiedere aiuto, vedere un banco alimentare gestito da loro connazionali le ha spesso rassicurate: «Tantissime donne che prima non uscivano – conclude Osas – adesso si presentano da noi, proprio perché sanno che la distribuzione è gestita da nigeriane come loro. Si è creato un bel circolo virtuoso di condivisione, perché vengono anche per raccontare le loro storie e la loro vita. È bellissimo. Sono felice perché grazie all’associazione le donne sono al fianco di altre donne».

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