Prima di Alessandro Magno e della sua mirabolante impresa, della prepotente ascesa economica e culturale di Atene, ben prima rispetto all’affermazione di Roma e del suo sconfinato impero, una delle pagine più gloriose della storia antica da secoli veniva scritta in Sicilia, da una fiorente e intrigante metropoli adagiata sulla costa ionica dell’isola. La sua potenza raggiunse vette tali che persino la madrepatria che l’aveva fondata, la Grecia, non riuscì mai a sottometterne le ambizioni. Siracusa è il nome di questo piccolo grande miracolo dell’antichità, città lungimirante e scaltra, capace di rivaleggiare con i più grandi colossi che, di volta in volta, tentarono di accaparrarsi le sue floride risorse, madre di artisti, scienziati e uomini di politica consegnati all’eternità. L’eco della sua fama, così come oggi fa vibrare l’orgoglio siciliano dei contemporanei affascinando, al tempo stesso, curiosi e appassionati di ogni parte del mondo, attraverso i secoli prima di Cristo aveva superato le allora ben più difficoltose barriere geografiche del Mediterraneo, giungendo fino alla sponda opposta: quella sfarzosa ed esotica del regno egiziano. Il maggiore artefice? Il nostro illustre conterraneo Archimede. E una delle sue più grandi invenzioni.

Stupire un faraone abituato a lusso, potenza e venerazione divina, del resto, non era affatto semplice. Eppure, proprio Siracusa si era posta come interlocutrice prediletta del Paese delle Piramidi: già nel 306 a.C, infatti, il basileus di Sicilia, nonché tiranno siracusano, Agatocle aveva preso in moglie la principessa Teossena, figlia del grande Tolomeo I, inaugurando un sodalizio fortunato e per certi versi unico per quel che riguarda il mondo antico. E proprio nell’alveo di questa relazione diplomatica va collocato il ruolo dell’inventore per eccellenza, la cui opera suscitò un impareggiabile senso di meraviglia, così inusuale e grandioso da stordire persino il sovrano alleato. Nel 240 a.C, infatti, a governare le sorti di Siracusa, e dell’intera Sicilia ormai affidatasi alla sua sapiente e decisa guida, era Gerone II. In quello che probabilmente rappresentava un gesto di rinnovata e rinforzata comunione d’intenti con il prestigioso compagno d’armi, il tiranno predispose per il Faraone un dono senza precedenti. Fu così che il progetto venne affidato ad Archimede, il quale lo chiamò, significativamente, Syrakosia: si trattava della più grande imbarcazione mai realizzata nell’antichità, dotata di imponenti remi e vele, in grado, con la sua lunghezza superiore ai 100 metri, di ospitare un equipaggio di circa 500 persone. Pare che la reazione di Tolomeo III Evergete rasentò l’incredulità: egli si trovò di fronte ad una vera reggia galleggiante, fornita di giardini pensili e bagni in marmo, nonché di raffinati mosaici e di un avanzatissimo arsenale bellico. Le cronache raccontano persino che l’estasiato faraone la fece attraccare in quel di Alessandria, per destinarla perennemente alla terraferma in modo da renderla sua residenza personale.

Quel gioiello di ingegneria e creatività aveva visto la luce nei cantieri siciliani. In quei luoghi dell’isola che a lungo hanno cullato il prorompere di una grandezza e di una bellezza che ci obbligano a guardarci alle spalle. Non per rimanere prigionieri di una mortifera nostalgia, ma per seguirne con convinzione le tracce, per comprendere dove queste, oggi, possono condurci. Perché la grandezza, quella autentica, si riconosce dal modo in cui avvolge il luogo che la ospita: il suo velo, per quanto leggero, rimane intatto si insinua nei ricordi e ne prende possesso, si annida calorosamente in un monumento o nel frammento di una mattonella e da lì la sua vitalità si diparte, contagiando chiunque vi si pari davanti. Esempi come quello di Siracusa non sono troppo lontani e anacronistici per poterci insegnare qualcosa: a volte, sono semplicemente dimenticati. Come dimenticata è la forza dell’ingegno e della volontà. Basta questo, a volte, per lasciare il mondo a bocca aperta.

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