Di sé stesso diceva, sfoderando questa attitudine quasi come un fioretto sacro che gli era impossibile violare: «Mi sono imposto di svegliarmi ogni giorno come se stessi nascendo e di addormentarmi ogni notte come se stessi morendo. In questo modo ho vissuto molto più di qualsiasi altra persona». E, in effetti, è questo che fanno i poeti: vivere un numero incalcolabile di esistenze. Attraversare la propria e quella degli altri. Esplorarne i misteriosi abissi in cui nessun altro avrebbe il coraggio di calarsi e tracciare la via della risalita. A quella schiera di arditi personaggi apparteneva a pieno titolo anche il nostro conterraneo Renzino Barbera. Qualcuno lo definì come la maschera d’arte simbolo della Palermo del ‘900; altri ancora, tentando in maniera ammirevole di tenere insieme il suo proverbiale umorismo con lo struggimento dei suoi versi più malinconici, si spinsero a definirlo come il poeta dall’ironia profonda. Ma c’è forse, in questa sempre affascinante girandola di sentenze, un altro attributo che potrebbe attagliarsi al cantore palermitano: quello di “poeta dell’attimo”. Il suo sguardo mai pago sul mondo, infatti, sull’affannarsi dei piccoli cuori nella lotta titanica contro il tempo, lo condusse a più riprese a realizzare dei veri e propri ritratti di vita. A ritagliare, dall’inesausto fluire dell’eternità, degli stralci di cristallizzata meraviglia. A farsi portavoce, tramite, mediatore a tratti spirituale del grande dono dell’esistere. Ma anche di voci che sarebbero altrimenti andate perdute. Quelle, ad esempio, dei minatori inghiottiti dall’oscurità di un cunicolo. O quelle dei salinari diventati un tutt’uno con il prodotto della loro attività, tramutati in bianche statue di sudore. Guardava alla realtà con malinconia, Barbera, con la velata commozione di chi non aspettava che aggrapparsi ad un gesto, ad un segno di speranza. Anche quello più apparentemente insignificante. Sottile, come il filo di un aquilone.

Ed è proprio a questa immagine che il poeta si ispirò per dare respiro ad una delle sue liriche più intense (trasposta poi in canzone, qualche anno fa, dai Musicanti di Gregorio Caimi nell’album-omaggio Pietre di Sicilia), vale a dire La stidda. Una riflessione, quella di Barbera, sul valore immortale dell’effimero. Sulla dignità del saper vivere il presente senza appiattirlo sulle ombre distorte e opprimenti del futuro. Sull’imparare che le cose, a volte, non si raggiungono inseguendole. Ma aspettandole pazientemente. «Quannu la stidda di carta culurata / pigghiava vinticeddu e si partia / ‘u cielu sbarrachiava l’occhi blu / l’aceddu chi cantava si zittia / lu suli a fari l’arcu si canziava. / Paria ca quannu idda si partia / si ‘nni ia unni sunu i stiddi, chiddi veri / a ghiucari ogni notti cu Signuri. / Ma lu filu di cuttuni la tinia / e la cosa all’aquiluni ci nucia. / E nu iornu la tirò e si rumpiu. / Lu ventu allura, ca era ‘na carizza / ‘a vitti sula e addivintò ‘na zotta / la stidda si circò ‘na mano amica, / ma l’aria tutta intorno si vutò, / lu ventu allura intricciò li dita; lu cielu chiusi l’occhi du spaventu, / l’aceddu misi a testa sutta l’ali, / e lu suli s’aggiummò contru lu ventu / ca trascinava cu l’anima sfardata / ’n misiru pizzuddu di carta culurata / ca nun sapia ca la libertà / stava ‘nna ddu filu ca la trattinia». Su quel filo, metaforicamente, si gioca la vita umana. Sull’indecisione tra perdersi nel vorticoso succedersi degli eventi o rimanere a terra, ancorati lontano dall’ignoto. Sull’inseguire l’imprevedibile spinti da un indeterminabile impulso o sul guardarsi indietro, alla felicità che già si ha e che forse non si è del tutto compresa. Fuggire verso nuovi lidi, riprogettarsi, reimmaginarsi. O dare valore alla propria fragilità. Affrontarla, conviverci, esaltarla.

E lì, tra i due estremi di questo filo, come un equilibrista, si apposta il poeta. Seguendo la scia di quel piccolo pezzo di carta, finito chissà dove nella smania di essere qualcos’altro. Tenendo in mano quella traccia di cotone ormai solitaria. Ricongiungendoli, ancora, per un’ultima volta. Per un ultimo, forse, trionfo della vita. Per un attimo. Alla Renzino Barbera.

Il nostro impegno è offrire contenuti autorevoli e privi di pubblicità invasiva. Sei un lettore abituale del Sicilian Post? Sostienilo!

Print Friendly, PDF & Email