“Ritorno all’Amarina”: un viaggio nella memoria italiana condivisa

Il ro­man­zo di Giu­sep­pe Laz­za­ro Dan­zu­so ci ri­por­ta in­die­tro, con la for­za del rac­con­to che tie­ne in vita i sen­ti­men­ti, a una Si­ci­lia e a un Bel Paese d’al­tri tem­pi, quelli dei figli di Carosello, tra pic­co­li ac­ca­di­men­ti quo­ti­dia­ni e dia­let­ti, lin­gue del cuo­re, at­tra­ver­so i qua­li ri­tro­va­re le no­stre, au­ten­ti­che ra­di­ci. E soprattutto la no­stra uma­ni­tà perduta

La sto­ria di una fa­mi­glia italiana, si­ci­lia­na, in cui mol­ti si sono ri­tro­va­ti. Un pas­sa­to fat­to di pic­co­le cose con­cre­te, di rap­por­ti uma­ni e va­lo­ri da tra­smet­te­re alle nuo­ve ge­ne­ra­zio­ni. Un luo­go, l’Ama­ri­na, che li rac­chiu­de si­gni­fi­ca­ti­va­men­te. Que­sto e mol­to al­tro è Ri­tor­no al­l’A­ma­ri­na (Fau­sto Lu­pet­ti Edi­to­re, 2018), ope­ra del gior­na­li­sta e scrit­to­re Giu­sep­pe Laz­za­ro Dan­zu­so. Un te­sto in­tri­so di ri­cor­di e no­stal­gia, di im­ma­gi­ni che, an­che tra­mi­te l’u­so del dia­let­to, non solo siciliano, riac­cen­do­no le emo­zio­ni di in­te­re ge­ne­ra­zio­ni.

LA LIN­GUA DEL CUO­RE. «Al­l’i­ni­zio, ov­ve­ro 17 anni fa, ‒ rac­con­ta l’au­to­re ‒ avevo scrit­to que­sto li­bro per i miei fi­gli, quelli nati e quelli che stavano per nascere. L’ idea era quel­la di tra­man­da­re quel mon­do con tut­te le sue ca­rat­te­ri­sti­che, com­pre­so l’u­so del dia­let­to al­lo­ra nor­ma­le nelle fa­mi­glie italiane. Era la lingua di casa ma veniva sfuggito perché era anche quella del­la po­ver­tà. Era antitecnologico, antico. Quel­lo che è oggi l’i­ta­lia­no ri­spet­to al­l’in­gle­se». Lazzaro Dan­zu­so, che a casa do­ve­va par­la­re l’i­ta­lia­no, ha imparato il dia­let­to in stra­da, a con­tat­to con la gen­te. E in Ri­tor­no al­l’A­ma­ri­na que­sta «lin­gua del cuo­re» di­ven­ta par­te del co­di­ce con cui narrare le emo­zio­ni di un’intera generazione che, viag­gian­do ve­lo­ce­men­te nel tem­po, sen­te il bi­so­gno di fer­mar­si e guar­dar­si in­die­tro. «An­che gli ami­ci fuo­ri dal­la Si­ci­lia ai quali ho in­via­to il te­sto han­no ca­pi­to il lin­guag­gio. Ma alla fine del li­bro ho in­se­ri­to ugualmente un glos­sa­rio».

LE CASE. A par­ti­re da quel­la del­l’A­ma­ri­na, luo­go di vil­leg­gia­tu­ra vi­ci­no Adra­no, sprov­vi­sta di ac­qua cor­ren­te, luce elet­tri­ca e te­le­fo­no, è at­tra­ver­so le case che si co­glie la sto­ria di chi le ha vis­su­te. «Noi esseri umani ‒ dice Lazzaro Dan­zu­so ‒ sia­mo rac­con­ti vi­ven­ti. Dei li­bri, so­stan­zial­men­te. E le case sono le no­stre li­bre­rie». L’au­to­re ne de­scri­ve ogni par­ti­co­la­re, re­ga­lan­do a chi leg­ge la sen­sa­zio­ne di abi­ta­rle dav­ve­ro. Fru­ga nel­la me­mo­ria così come ha fat­to nei cas­set­ti pie­ni di fo­to­gra­fie, come quel­la del­la co­per­ti­na che ri­trae il pa­dre Car­me­lo alla gui­da di una de­cap­pot­ta­bi­le da­van­ti alla casa del­l’A­ma­ri­na. Se pri­ma le case, tempio della fa­mi­glia, erano più gran­di e po­te­vano con­te­ne­re più ri­cor­di, oggi si sono rim­pic­cio­li­te e ne con­ser­vano meno, «così ‒ spie­ga l’au­to­re ‒ i nostri ricordi di­ven­tano come quei tu­li­pa­ni com­pra­ti in un su­per­mar­ket di Roma: pro­get­ta­ti ge­ne­ti­ca­men­te per ave­re vita bre­ve».

IL RAC­CON­TO CHE REN­DE UMA­NI. Nel­l’e­po­ca del pa­ra­dos­so di In­ter­net, che ab­bat­te i con­fi­ni ma spin­ge al­l’in­di­vi­dua­li­smo, sem­bra ne­ces­sa­rio tor­na­re al pas­sa­to per or­di­na­re la pro­pria vita, per ri­tro­va­re uma­ni­tà per­ché «se la per­dia­mo, ab­bia­mo per­duto noi stes­si». E l’umanità è nelle storie: dal­l’e­spe­rien­za nel­la squa­dra di rug­by, «un po­sto di fra­tel­lan­za per ra­gaz­zi di di­ver­sa estra­zio­ne so­cia­le», alla «te­le­vi­sio­ne-maestra che uni­va me­ra­vi­gliando», il li­bro di Giu­sep­pe Lazzaro Dan­zu­so rap­pre­sen­ta un pon­te tra i fi­gli di Ca­ro­sel­lo e quel­li dei so­cial, un in­vi­to a con­di­vi­de­re, a ri­tro­va­re il pia­ce­re nel­le pic­co­le cose, come lo stu­po­re nel ve­de­re le luc­cio­le e il sa­po­re uni­co del­lo sci­rop­po di ama­re­ne del­la non­na. Un invito a te­ne­re in vita luo­ghi e per­so­ne at­tra­ver­so la narrazione, «per­ché è il rac­con­to che ci fa uma­ni».

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Cantante rock, classe ʼ90, laureata in Lingue per la Cooperazione Internazionale, con la musica ha scoperto la forza della condivisione, del mettersi in gioco, il piacere del sentirsi parte di qualcosa. Studiando lingue (inglese e spagnolo) ha stimolato la sua curiosità verso il mondo e ritrovato quella per la sua terra, la Sicilia. Il suo approccio agli articoli è lo stesso dei testi: uno sguardo mai sazio di stupore e meraviglia da trasmettere agli altri.

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