Il libro firmato Piscopo-Ferlita affronta il delicato tema degli insegnanti che, portando nelle classi la propria incompetenza e la propria svogliatezza come fa la protagonista Giovanna, danneggiano la formazione delle nuove generazioni. Un grido di denuncia accanto al quale, come auspicio, si accostano anche modelli virtuosi

[dropcap]«[/dropcap][dropcap]C[/dropcap]hi entra in classe deve sapere che non fa un mestiere come un altro ma un lavoro che può cambiare la vita di una persona. Per sempre». Con queste parole si chiude l’introduzione di Alex Corlazzoli al libro La maestra portava carbone, scritto a quattro mani da Giuseppe Maurizio Piscopo e Salvatore Ferlita, che nella vita hanno entrambi a che fare concretamente con le nuove generazioni: il primo è un maestro elementare di Palermo, il secondo un docente universitario a Enna.

Da prospettive diverse, quindi, ma complementari, hanno una prospettiva diretta e concreta su quello che accade all’interno di certe aule e non ne fanno un mistero, anzi. Già dalla copertina dell’opera, che è stata edita nel 2018 da Torri del Vento Edizioni, si intuisce il dibattito delicato e attualissimo in cui si inserisce la pubblicazione, che peraltro nel sottotitolo già annuncia: Quando la scuola diventa cattiva. In verità, lo sguardo dei due insegnanti e scrittori siciliani si concentra solo parzialmente sui problemi della scuola contemporanea, dedicando il giusto spazio anche a un esempio paradigmatico da seguire.

Così, in una prima parte ripercorriamo le vicende biografiche di una fantomatica “signorina Giovanna”, il cui nome e profilo inventati rappresentano un’intera categoria professionale piuttosto diffusa, tanto nel Meridione quanto nel centro e nel nord Italia. La osserviamo sgomitare fra una serie di ostacoli burocratici e di step che tutti, nel nostro piccolo, abbiamo già sentito nominare. Esami accademici, concorsi statali, graduatorie, prime esperienze… Il tutto, però, agevolato da una posizione sociale privilegiata e da una raccomandazione dopo l’altra, che la portano in luoghi in cui non è felice, in contesti nei quali non si rispecchia e in classi in cui non può che portare con sé del carbone.

Il titolo del testo, non a caso, si riferisce proprio alla tendenza di maestri come la signorina Giovanna a trascinare fra i banchi di scuola la propria svogliatezza e incompetenza, la scarsa voglia di comprendere chi si ha di fronte, di aiutarlo a crescere non solo in termini di mero apprendimento, ma anche e specialmente sul piano umano. La violenza, gli abusi, le prese di potere – inteso come sostantivo e non come verbo, proprio come osserva Alex Corlazzoli – sono all’ordine del giorno: se ne accorgono i colleghi della protagonista, se ne accorge il preside, se ne accorgono la sua famiglia e pure quelle dei suoi alunni.

Naturalmente, un soggetto come lei è tossico per l’istruzione e per le giovani menti con cui entra in contatto. Non regala stimoli e non arricchisce l’esistenza, motivo per cui le conseguenze non possono tardare a manifestarsi e a smascherare un sistema marcio alla radice e poco attento ai bisogni dei principali fruitori degli istituti di ogni livello di istruzione: gli allievi stessi. Dopotutto, la signorina Giovanna è stata una studentessa, prima ancora di finire dall’altra parte della cattedra, e qualcosa deve essere andato storto anche nella sua esperienza personale, se la passione, l’empatia e il desiderio di formarsi per esercitare al meglio la propria professione/vocazione non l’hanno contagiata.

Questo grido di denuncia intra moenia, che è poi la ragione più importante per la quale l’opera di Piscopo e Ferlita ha fatto parlare di sé nei più importanti canali mediatici regionali e nazionali, è comunque controbilanciato da una testimonianza diretta altrettanto toccante, stavolta in senso opposto. Protagonista è la piccola Faustina, che, come riporta Piscopo, durante la prima gita di classe a sette anni ha un’appendicite acuta e deve essere operata d’urgenza nel cuore della notte, in una situazione nella quale la cooperazione fra operatori sanitari, maestri e genitori è fondamentale e riesce a restituire il colorito roseo e l’allegria alla bambina dopo poche ore di riposo.

Fra questi due estremi, vibranti e intensi ciascuno a modo proprio, si colloca una riflessione ad ampio raggio firmata Ferlita, che ripercorre la concezione dell’istruzione nei secoli e nelle società da cui proveniamo, partendo dall’antica Grecia e arrivando a De Amicis, secondo le pieghe di un filo rosso che continua a proporci scandali e miracoli, problemi e soluzioni, dibattiti e quesiti senza risposta. Nel frattempo ne è passata di acqua sotto i ponti, come fanno notare gli autori, e Giuseppe Pontiggia stesso sottolineava che oggi “la differenza rispetto al passato è che oggi la violenza sugli indifesi non viene più legittimata o assolta”, sebbene questo non basti di per sé a reprimerla.

Molti passi devono essere ancora compiuti in avanti, con l’aiuto di tutte le parti coinvolte e continuando a sollevare importanti temi sull’argomento, come quello di cui si sono occupati con accoramento e onestà intellettuale due ammirevoli esponenti della classe docenti siciliana.

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