«Sei un artista? Sì, ma
di mestiere cosa fai?».
La dura realtà di chi
vive di cultura

Tra qualificati impeccabili che lavorano meno e senza continuità rispetto ai dipendenti del settore privato, cercando di arrotondare con altri impieghi, e squilibrio nel compenso tra uomini e donne, per non parlare del gap che le Isole mostrano rispetto al resto d’Italia, sono tempi difficili per chi vorrebbe sostenersi con la propria arte. Abbiamo raccolto alcune testimonianze che confermano un quadro desolante

Un vecchio detto dice: si stava meglio quando si stava peggio. Una frase che può suonare nostalgica, ma che risulta calzante per descrivere le traversie a cui è sottoposto l’odierno mondo dello spettacolo, specie rispetto al passato, quando all’indomani della Seconda guerra mondiale, fra le macerie e i palazzi sventrati, due visionari – Paolo Grassi e Giorgio Strehler – con il sostegno del sindaco Greppi, davano vita al Piccolo Teatro di Milano, primo Stabile d’Italia. Oggi la crisi che attanaglia Enti teatrali, Fondazioni e il settore dell’arte vede la pesante scure dei tagli economici abbattersi per prima, e a tutti i livelli, sul mondo della cultura, mentre fra le orecchie rimbomba l’anatemica sentenza che con quest’ultima “non si mangia”.

PRIMATI. Dal 1985, anno della sua istituzione a oggi, il Fondo Unico per lo Spettacolo (FUS) è stato più che dimezzato, limitando la possibilità d’investire in tournée, co-produzioni e occupazione, settore quest’ultimo dove la recessione si è fatta sentire già dalla metà degli anni ‘90. Se le istituzioni canoniche devono fare i conti con innumerevoli difficoltà, possiamo solo immaginare in che condizioni versino gli artisti che non sono dipendenti a tempo indeterminato di fondazioni lirico-sinfoniche o enti teatrali. Stando alle ultime stime diffuse recentemente dall’Istat all’interno dell’Indagine conoscitiva in materia di lavoro e previdenza nel settore dello Spettacolo, il settore culturale ha occupato nel 2018 tra lo 0,6% e l’1,4% della popolazione in Italia.
E non mancano certo i professionisti siciliani, come il cantante barocco e attore Salvo Disca, dalla formazione scolastica di livello terziario e una preparazione artistica di spessore, maturata tra lo Stabile di Catania, il liceo musicale e l’Accademia della Valle d’Itria o la trentatreenne Anna Aiello, che affianca a una laurea in lettere gli studi di regia con Guglielmo Ferro a Catania e un master in regia conseguito alla Fondazione Arena di Verona.

MULTIPLE JOB HOLDING. A dispetto di curricula impeccabili, gli artisti sono spesso costretti a svolgere più occupazioni per arrivare a fine mese sia all’interno sia all’esterno del comparto. La difficoltà principale è la continuità dell’impegno: se un dipendente nel settore privato lavora 365 giorni all’anno, un lavoratore dello spettacolo lo fa in media per 194 giorni e 399 ore retribuite. «Prima di trasferirmi a Bologna – ci dice il violinista Davide Greco – sbarcavo il lunario suonando ai matrimoni e dedicando serenate, un lavoro che mi ha dato anche soddisfazioni. In Sicilia le orchestre indipendenti sono davvero poche e i guadagni, quando ci sono, minimi. Ho passato molte giornate ad aspettare una telefonata di lavoro; oggi mi posso ritenere soddisfatto perché riesco finalmente a vivere di musica grazie
all’Orchestra Senzaspine della quale faccio parte».

Un’occasione che si è presentata dopo innumerevoli tentativi alla ricerca dell’agognato posto fisso: «Dopo il diploma al conservatorio di Catania e la specializzazione a Torino e Modena le uniche strade che avrei potuto percorrere – prosegue – erano quella del concorso in teatro o dell’insegnamento a scuola, entrambe tortuose, con pochissimi posti a disposizione e una grande concorrenza. Alla fine ho desistito e anche se non guadagno molto, sono felice perché faccio parte di un gruppo che crede nella musica, un aspetto non sempre così scontato in questo lavoro». Anche per Anna Aiello all’inizio è stata dura: «Solo da due anni a questa parte riesco a vivere di questo mestiere, all’inizio no: mi davano solo un rimborso spese. Prima di potermi dedicare alla lirica ho svolto mille lavori, principalmente nel mondo dello spettacolo, come attrice, ma non solo». Stessa storia per Valerio Santi, direttore del Teatro L’Istrione: «Non è il mio teatro a darmi il pane quotidiano: per fortuna ho molte competenze fra cui scenotecnica e fonica, perché altrimenti non potrei arrivare a fine mese».

MASCHI VS FEMMINE. Se giustamente al crescere dell’istruzione aumenta la retribuzione, non mancano aspetti discriminatori come il gender gap: gli uomini, infatti, rispetto alle loro colleghe guadagnerebbero di più (12,88 € vs 11,70 €) e avrebbero anche più possibilità d’impiego. La coreografa Alessandra Scalambrino ne è convinta: «Gli uomini sono più agevolati non solo in Italia ma anche all’estero. Gli stessi allievi sembrano apprezzare di più il lavoro di un coreografo, anche se di recente avverto un’inversione di tendenza». Dopo essere entrata a 16 anni nella Compagnia Zappalà, la trentaquattrenne Alessandra in seguito a un infortunio si è dedicata all’insegnamento: «Certo, agli inizi i soldi erano pochi, ma con altri lavoretti e un pizzico di parsimonia riuscivo a sostenere le spese. Da anni mi occupo del dipartimento di contemporanea per l’Associazione Danza Taormina e riesco a vivere del mio lavoro». Disparità per nulla avvertita da Davide, Anna, Salvo e Valerio.

ESSERE O AVERE. Rispetto a Milano, Roma e Napoli, città dove il tasso di occupazione è nettamente più alto, solo il 3,2% delle imprese trova sede nelle Isole. Inoltre, nonostante a periodi di attività se ne alternino altri di disoccupazione o di mobilità verso altri settori, i lavoratori dello spettacolo si riterrebbero soddisfatti della loro professione dietro cui si celano grandi sacrifici, anni di studi e uno stipendio non sempre gratificante. «Nella speranza – aggiunge Disca – che il futuro mi porti qualcosa di più, sono molto grato di fare quello per cui ho studiato e che sento essere la mia missione. Penso all’ultimo monologo di Nina ne Il Gabbiano di Cechov in cui lei dice proprio questo: anche se vivessi in una soffitta e dovessi mangiare solo pane di segale non smetterei mai di fare l’attrice». Gli fa eco Valerio: «Se scegli di fare questo mestiere soprattutto oggi, con la meritocrazia che non esiste quasi più e l’arte e la cultura che non sono considerati beni primari per il cittadino, sai già che l’aspetto economico non ti potrà ripagare. Le gratificazioni arrivano dagli applausi, dalla riuscita dello spettacolo, dopo 6-8 ore di prove quando senti di essere stato più vero che nel resto della giornata. Eduardo De Filippo diceva “è una vita di gelo” e di fatto lo è, ma è anche il mestiere più bello del mondo».

 

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