“Senza rossetto”: rivivono le storie
delle prime donne
al voto in Italia
Senza rossetto. Era questa la raccomandazione data alle donne alla vigilia dell’elezione del 2 giugno 1946 che avrebbe deciso il destino dell’Italia. Senza rossetto perché le schede elettorali andavano umettate prima di essere incollate e ogni macchia le avrebbe invalidate. E “Senza rossetto” è anche un documentario, scritto dall’antropologa visuale Silvana Profeta e dall’archivista Emanuela Mazzina e diretto dalla stessa Profeta, che racconta l’immaginario femminile negli anni che precedono quella data storica, con particolare attenzione al ventennio fascista e alla Seconda Guerra Mondiale. «Io e la mia collega Emanuela – racconta la regista, che ha presentato il documentario alla libreria Prampolini di Catania – lavoravamo già insieme alla documentazione del palinsesto di Rai Storia. Proprio da quel lavoro sui filmati d’epoca nacque nel 2016 l’idea di raccogliere le testimonianze delle donne che nel 1946 avevano votato per la prima volta». In realtà molte donne erano già state chiamate alle urne tra il marzo e l’aprile dello stesso anno, quando alcuni comuni riuscirono ad organizzare le prime amministrative dopo il ventennio fascista. A concedere questo diritto era stato il decreto legislativo luogotenenziale dell’1 febbraio 1945 che sanciva però il diritto attivo ma non passivo; solo il correttivo del 10 marzo 1946 rese le donne eleggibili oltre che elettrici.
TRA RICORDI PERSONALI E GRANDE STORIA. «Obiettivo della nostra ricerca è quello di scoprire che valore ha avuto quel momento per donne di diversa estrazione sociale e geografica. Considerando che il diritto di voto si acquisiva a partire dai 21 anni abbiamo cominciato una ricerca tra le donne che avevano più di 91 anni. Ben presto però abbiamo dovuto realizzare che le nostre intervistate ricordavano poco di quel momento o della campagna pro-voto che lo precedette». Inizia così un lavoro di recupero dei ricordi basato sulla memoria pregressa e sulla rivalorizzazione del significato attribuito a quel 2 giugno 1946. «Abbiamo iniziato a parlare della loro infanzia, chiedendogli quanti membri componessero la loro famiglia, quali fossero i loro giochi, o come vivevano la scuola. Riemergevano così i ricordi del Fascismo che si era mescolato alle loro esistenze e nei confronti del quale queste donne avevano assunto posizioni differenti. Certo i ricordi più nitidi erano soprattutto quelli legati alla guerra». Se le intervistate hanno espresso, infatti, posizioni diverse nei confronti del regime, della monarchia o della repubblica, tutte sono concordi nel descrivere la guerra come un’esperienza drammatica che le ha private di un pasto dignitoso, di una sorella, che le ha prematuramente strappate alla spensieratezza giovanile. «Nel raccontare la guerra ho voluto mescolare un po’ i tempi, – prosegue la regista – la voce di Mussolini che pronuncia la dichiarazione di guerra si sovrappone alle riprese delle abitazioni delle intervistate per ricordare che la guerra può insinuarsi nella nostra vita in ogni momento e dobbiamo impegnarci per evitare che questa possibilità possa farsi realtà». Il documentario si presenta quindi allo spettatore come una coralità di voci diverse tra loro ma la cui armonia è garantita proprio dalle diverse tonalità. «Ho costruito il documentario in termini dialogici ma non ho mai pensato di dimenticare l’unicità di ciascuna esperienza. Ogni donna ha una storia, io le ho mescolate immaginando un dialogo fantastico che includesse me ed Emanuela, ma anche lo spettatore».
IL VALORE ETERNO DELLA TESTIMONIANZA. «Sino ad oggi abbiamo intervistato 31 donne ma il documentario è parte di un progetto più ampio perché stiamo continuando a raccogliere dichiarazioni per costruire una banca dati che conservi le testimonianze orali in versione integrale e le fonti materiali restituiteci dalle intervistate, come foto, lettere, filmati. Il documentario è insomma una delle possibilità narrative di un progetto più esteso». Un progetto, sostenuto da Regesta.exe e Fondazione Aamod, che ha già ricevuto un significativo riconoscimento al Festival di Cinema e Donne di Firenze con il premio Anna Magnani assegnato da una giovanissima giuria di 300 studenti. Le due autrici incontrano ogni donna una sola volta trascorrendo con questa più o meno 3 ore. «Ogni volta arriviamo con una grandissima tensione perché non le conosciamo, ma devo dire che siamo sempre state accolte da grandi sorrisi e da un immenso desiderio di raccontare. Anzi sono spesso meravigliate dal fatto che a qualcuno interessi la loro vita passata: non solo nessun estraneo si è mai interessato a loro, ma spesso nemmeno i figli o i nipoti sanno nulla di questa storia e solo quando vengono a sapere che videocamere e operatori arriveranno per intervistarle, cominciano a fare domande». “Senza rossetto” non si limita insomma a valorizzare fonti orali e memoria storica, ma intende riattivare un dialogo intergenerazionale troppo spesso sclerotizzatosi sotto il macigno del “presentismo” contemporaneo.