Serra Yilmaz: «La mia Lea tra i fantasmi di “Magnifica presenza” nel limbo tra finzione e realtà»
Volto amato in molte pellicole di Ferzan Özpetek, raffinata traduttrice e figura di riferimento per molti intellettuali turchi, Serra Yilmaz torna nuovamente al Teatro ABC di Catania (dal 15 al 24 marzo) dopo il successo nella scorsa stagione di “Don Chisciotte”, questa volta per vestire i panni di Lea, la primattrice della Compagnia Apollonio in “Magnifica presenza”. Per interpretare il ruolo che nell’omonima pellicola del regista turco fu della collega Margherita Buy, Yilmaz si è lasciata catturare dal personaggio ricco di sfumature, al confine tra l’essere e il non-essere, riuscendo a dare una allure tutta personale a quella diva del palcoscenico impegnata nella Resistenza. «Non ho mai avuto un metodo preimpostato per costruire un personaggio – spiega – piuttosto durante le prove cerco sempre di comprenderlo, rifletto sulle azioni che compie in modo da trovare la chiave di lettura giusta che mi possa aiutare poi in scena». Della sceneggiatura che nel 2012 valse all’opera cinematografica 3 Nastri d’Argento, numerose candidature ai David di Donatello, facendogli incassare 3,2 milioni di euro al Box Office, qui rimane solo la struttura portante, cioè l’incontro fra Pietro, interpretato da Federico Cesari, un giovane omossessuale che aspira a diventare un attore, e le presenze fantasmatiche che popolano la casa in cui è andato ad abitare. In questo limbo condiviso, i protagonisti riusciranno a uscire dai confini nei quali si sono relegati per raggiungere una nuova via. «Nell’adattamento teatrale – sottolinea l’attrice – Ferzan ha modificato parecchi aspetti, aggiungendone altri che nella pellicola non esistevano. A partire proprio dal numero di fantasmi, che qui sono di meno, per seguire poi con alcune modifiche alle origini di Pietro. Ma non voglio svelare troppo e far perdere la sorpresa al pubblico».
Nell’ultimo periodo, il regista turco ha più volte sperimentato la riscrittura in altre forme di suoi celebri successi, proprio come è avvenuto con la serie televisiva “Le fate ignoranti” dove Serra Yilmaz torna a interpretare la portinaia a cui ventun anni prima aveva dato vita. Un’esigenza forse dettata dalla volontà di riscoprire quei personaggi che staccandosi dal foglio intraprendono una propria esistenza. Entrambi istambulioti naturalizzati italiani, Özpetek e la Yilmaz sono legati da una lunga amicizia, guai però a definirla la sua musa: «Il pubblico – prosegue – si è talmente abituato a vedermi nelle sue opere che quando, come è giusto che sia, questo non accade mi scrivono dei messaggi in cui si dicono dispiaciuti. Trovo che siano molto dolci nei miei confronti ma è lecito che un regista scelta a chi affidare l’interpretazione di un determinato ruolo. D’altronde, non facevo neppure parte del cast nel film “Magnifica presenza”, quando, però, si è presentata l’occasione di realizzare il progetto teatrale, Ferzan e il nostro produttore, Marco Balsamo, mi hanno voluta per il ruolo di Lea. Di questo sono molto grata perché ogni qual volta salgo su un palcoscenico mi sento felice». Ed è proprio a teatro che Serra muove i primi passi, anche se ha sempre percorso entrambe le vie artistiche in maniera parallela: «un attore non passa mai da una dimensione all’altra. Nel mio viaggio ha sempre alternato il cinema al teatro soprattutto in Italia dove ho calcato le tavole di molti palcoscenici. Ricordo che nel 2003 ho trascorso anche un periodo piuttosto lungo a Catania per le prove di una messa in scena ed è stato qui che ho imparato a conoscere la città».
Il carisma e la determinazione dall’attrice dai capelli turchini hanno talmente affascinato la scrittrice Andreina Swich, che nel 2013 le ha dedicato un libro in cui racconta la sua storia analizzando il ruolo che la figura femminile ha Turchia. Il titolo “Una donna turchese” non nasce dalla tinta dei suoi capelli ma dall’equivoco di una ragazza francese nel chiamare le abitanti della nazione euro-asiatica. «È desolante – dice – pensare a tutte quello che le donne hanno conquistano negli anni con la lotta e sapere che oggi questo è messo costantemente in discussione. Per fortuna si fanno anche progressi come quelli a cui abbiamo assistito in Francia, dove la libertà di abortire è stata scritta nella costituzione ma sono convinta che ci sia ancora tantissima strada da fare prima di non sentire più la necessità di celebrare l’ 8 marzo. Sfortunatamente in molti ambiti siamo ancora indietro. Qualche giorno fa ad esempio ero in taxi ed ho sentito una canzone che ripeteva “Sono tua, sono tua”. Se anche la musica fa passare il messaggio per cui la donna è una proprietà, dobbiamo essere noi le prime a scardinare queste posizioni. Il rischio infatti è che continuino a passare di generazione in generazione non riuscendo a porre fine a quest’idea malata di possesso che in molti casi finisce per sfociare nel femminicidio».
Un tema, quello dell’ossessione, che a posizioni invertite ritroviamo anche al centro della pièce, questo perché Pietro vive in funzione di un uomo che non ha mai ricambiato il suo interesse. «La sua è una vera e propria patologia psichiatrica, costruisce quest’amore totalmente unilaterale e anche se non riceve nessuna risposta o attenzione da parte di quest’uomo continua a perseguire la sua idea rimanendo alla fine profondamente deluso». Il dramma, tuttavia, richiama elementi spesso presenti nella poetica di Özpetek, come la diversità e l’amicizia. «Non credo che questa sia una sua esclusiva – chiosa l’artista –. Semplicemente, le sue opere contengono aspetti che sono anche il riflesso della vita che ognuno di noi vive». Nel caso di “Magnifica presenza”, il legame all’esistenza quotidiana è ancora più diretto: il regista, infatti, non ha fatto mistero che lo script sia stato frutto di un’esperienza paranormale vissuta da un amico. Non mancano però riferimenti letterari, uno su tutti quello a “Sei personaggi in cerca d’autore” di Pirandello. «Anche qui la parola d’ordine rimane “Finzione, finzione ma con la finzione la realtà” – conclude – e naturalmente ci sono tanti piani di lettura nella commedia. C’è chi si fermerà allo strato superficiale e chi, conoscendo l’opera del drammaturgo agrigentino, potrà cogliere i tanti riferimenti alle sue opere. Io ci vedo quasi un segno, l’anno scorso la tournée del “Don Chisciotte” si è conclusa ad Agrigento, per me essere in quel teatro, aver visitato la sua casa, essere entrata in contatto con la gente del posto è stato molto commuovente quasi quanto far rivivere oggi attraverso le parole la sua arte».