«Allora, com’è andato questo weekend?» recita una delle domande che ci si pone di più fra amici, colleghi e conoscenti non appena si ricomincia con la routine feriale, in particolare se erano in ballo brevi programmi per evadere dalla vita quotidiana, come gite fuori porta, escursioni nella natura o rimpatriate all’aperto. Nel caso in cui il progetto sia fallito o abbia avuto un esito negativo, è probabile che la risposta di un interlocutore siciliano sia: «finiu a tri tubi».

Un’espressione diffusa fra generazioni vecchie e nuove, soprattutto nella zona orientale dell’isola, e che deve la sua origine a un episodio realmente accaduto, ben impresso nella memoria di chi ha vissuto nella prima metà del Novecento alle pendici dell’Etna. Tra il 1909 e il 1910, infatti, venne costruito il piroscafo veloce “Città di Catania”, che colpì subito l’attenzione della cittadinanza per i suoi tre grossi comignoli e che venne dunque soprannominato “la tre tubi”.

La sua funzione avrebbe dovuto limitarsi a trasportare a bordo passeggeri, mentre durante il primo conflitto mondiale, in realtà, l’imbarcazione venne sfruttata anche a scopi bellici e partecipò ad alcuni bombardamenti, difendendosi sempre piuttosto bene. Nonostante dopo i trattati di pace fosse stata destinata a svolgere servizio postale di linea, la nave riprese a servire la Regia marina a partire dal 1939 e ricevette addirittura una colorazione mimetica per essere identificata con più difficoltà.

Questo, tuttavia, non risparmiò al “Città di Catania” il suo tragico destino: il 3 agosto del 1943 il sommergibile inglese “Unruffled” intercettò la posizione del piroscafo al largo della città di Brindisi e riuscì ad affondarlo in pochissimi minuti. Una fine spiacevole e che rimase impressa nella mente della popolazione della Trinacria al punto che fino ad oggi, quando qualcosa va storto, viene immediatamente associata al celebre mezzo di trasporto, sebbene non tutti ne sappiano ancora rintracciare l’etimologia.

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