In patria sono noti per essere accoglienti, gesticolare in ogni circostanza e amare la buona cucina, ma quando gli italiani più meridionali viaggiano sono percepiti esattamente così da chi si ritrova a interagire con loro?

Gli americani sono spacconi, i russi ordinano solo vodka e caviale, i tedeschi portano i sandali pure d’inverno e i francesi fanno finta di non capirti se non hai una pronuncia da madrelingua… E i siciliani? In patria sono accoglienti, gesticolano in ogni circostanza e sono amanti della buona cucina, ma quando viaggiano sono percepiti esattamente così da chi si ritrova a interagire con loro? A giudicare da qualche esperienza accumulata nel corso degli anni, pare di no.

LA SOLITA COLONNA SONORA. Lontani dalla loro isola, i siciliani sono prima di tutto associati alla mafia. C’è poco da fare, lo sanno grandi e bambini: appena pronunciano o anche solo alludono al nome della loro terra, la gente intorno intona ammiccando Speak Softly Love, il tema musicale associato universalmente al film Il Padrino del 1972. Bisogna quindi annuire, riconoscere la bellezza della pellicola e poi prepararsi a un paio di domande di rito. «Ma camminare per strada di notte è sicuro? Ma allora nessuno da voi rispetta la legge? Ma tu di mafiosi ne hai mai conosciuti?», accompagnate da un sorriso a metà fra il curioso e il compassionevole.

LO SPAURACCHIO DEL GIGANTE. Quando si riesce a spiegare che la criminalità organizzata non ha quasi più niente a che vedere con certe sparatorie anni Ottanta e Novanta (per fortuna), ma che i rapporti Stato-mafia sono ancora avvolti in una fitta rete di favoreggiamenti, per un attimo si pensa di averla scampata. E, in effetti, accade spesso che il tasto dolente venga controbilanciato da un’ode alle coste del trapanese, alla Valle dei Templi, al teatro di Taormina o a quello di Siracusa. Presto o tardi, però, perfino ai più distratti viene in mente anche lui, il gigante buono idolatrato dai catanesi: «Ma ogni quanto erutta il vulcano? Non sarà pericoloso vivere in quella zona? Mamma mia, io così vicino all’Etna non vorrei starci nemmeno per un paio d’ore…»

DISCREZIONE, QUESTA SCONOSCIUTA. Le rassicurazioni, con tanto di articoli scientifici salvati sui preferiti e mostrati di volta in volta allo scettico di turno, non scongiurano comunque tutti i cliché ancora all’orizzonte. A quel punto, infatti, capita che i propri interlocutori si sentano in colpa per avere fatto di tutta l’erba un fascio e inizino a nominare quelle caratteristiche che per i siciliani sono scontate e per il resto del mondo originali, alla peggio un po’ bizzarre, ma in ogni caso affascinanti. E così viene fuori l’anima di un popolo che urla al mercato del pesce, che tocca le persone con cui parla, che mangia piatti molto elaborati a tutte le ore, che allo stadio si sgola per tradizione e che – udite udite – non si toglie le scarpe quando entra in casa altrui.

MA ABBIAMO ANCHE DEI DIFETTI. Si finisce dunque per apparire casinisti, pettegoli, troppo attaccati ai figli e alla “madrepatria”. A questo punto, le ipotesi sono due: o si passa il testimone al rappresentante di qualche altra cultura, perché venga messo a suo turno sotto torchio, oppure ci si gioca il tutto per tutto, che può variare sensibilmente da persona a persona. Qualcuno parla di celebri compositori, altri delle provole ragusane; si nominano luoghi, artisti, antichi conquistatori e moderne startup dal team under 35; o sennò politici, cantanti, volontari, cuochi, scrittori, amici di amici, basta che il minimo comune denominatore corrisponda a un buon motivo per ottenere l’ammirazione dello straniero. 

TANTO RUMORE PER NULLA. È allora che qualcuno fra i presenti lo capisce. Magari lo si dice perfino all’unisono nello stesso momento: «vabbè, la verità è che tutto il mondo è Paese». Tante grazie, vorrebbero replicare i siciliani presenti, salvo trattenersi in tempo nel considerare che forse anche loro hanno delle idee un po’ distorte dei turisti che incontrano di tanto in tanto nel centro storico della loro cittadina. Perché sì, gli isolani sono contro gli stereotipi, e tuttavia in certi casi loro per primi diffidano del buon cuore dei forestieri. Quando sono in trasferta, però, prima o poi se ne accorgono e fanno tesoro dell’esperienza correndo ai ripari, cosicché nel rientrare appaiono sempre diversi da com’erano partiti, più aperti e meno vanagloriosi. Almeno fino al viaggio successivo…

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