È il 3 luglio 2020 e all’aeroporto di Catania Barbara Palermo, per gli amici Barbie, e suo marito Ken si stringono l’uno all’altra mentre si avviano verso l’uscita del terminal, terrorizzati all’idea di essere rispediti indietro. Dopotutto, quando hanno imbarcato i bagagli si trovavano in Oregon ed entrambi sanno bene che le norme anticovid non sono di certo clementi con chi proviene dagli Stati Uniti, ormai epicentro della pandemia. La casa di Salem in cui abitavano è però già stata venduta, la lettera di dimissioni da assistente veterinaria di Barbara ha raggiunto il suo destinatario e gli abbracci di addio con amici e parenti sono stati scambiati: «Avevamo pianificato tutto da cinque anni, non potevamo più tirarci indietro» ricorda Barbie. E forse è proprio l’emozione di avere finalmente a portata di mano il sogno di trasferirsi in Sicilia che fa dimenticare loro di avere, tra i documenti in cui confidano per superare i controlli, l’unico davvero necessario. “Repubblica italiana” è la scritta che campeggia sui passaporti che mostrano tentennanti all’uomo in divisa che si frappone tra loro e il sole del Mediterraneo. «Prego, benvenuti» è il lasciapassare, pronunciato in una lingua che comprendono a stento, per la destinazione di un viaggio cominciato più di 15 anni prima.

Barbara Palermo e suo marito Ken

ORIGINI DIMENTICATE. «È iniziato tutto per caso – racconta Barbara – da una conversazione sull’autobus tra mio marito e uno sconosciuto. George W. Bush aveva appena vinto il suo secondo mandato e quell’uomo confessò a Ken di avere la soluzione ad un clima politico che, già allora, stava precipitando: poiché la moglie aveva ottenuto la cittadinanza italiana i due avrebbero lasciato il Paese». All’entusiasmo di suo marito, galvanizzato dall’esempio dell’uomo conosciuto sul bus e voglioso di seguirne la strada, Barbara rispose con freddezza. «È una follia. Dell’Italia non so nulla». Nonostante i suoi nonni fossero partiti dalla Sicilia per sbarcare ad Ellis Island all’inizio del secolo scorso, infatti, nella famiglia di Barbara l’italianità era una traccia che le ingiustizie della Storia avevano quasi del tutto cancellato. «I miei genitori ci hanno cresciuti come americani. In quanto figli di immigrati meridionali, hanno avuto una vita difficile, fatta di povertà e discriminazioni. Suppongo – riflette – che ci abbiano privati del nostro retaggio a fin di bene. Era l’unico modo che conoscevano per darci una possibilità di vivere il sogno americano e sottrarci alla sorte che era toccata a loro».

EFFETTO DOMINO. Per spiegare quello che successe dopo Barbie chiama in causa il destino, forse non del tutto a torto. Nonostante il suo iniziale scetticismo, contatta infatti il consolato italiano a San Francisco per saperne di più sullo ius sanguinis e così, quasi per gioco, dà avvio alle procedure per la cittadinanza. «Al termine della trafila burocratica, nel 2011, la situazione politica in America era migliorata e con Ken avevamo accantonato il piano di trasferirci altrove». Poi, però, iniziano i primi viaggi in Sicilia per prendere confidenza con quella identità sancita, per il momento, solo dalle carte. E soprattutto la ricerca dei parenti che non hanno mai lasciato l’isola. «Da quando ho abbracciato per la prima volta i miei cugini perduti è cambiato tutto. Il calore con cui ci hanno accolti mi ha lasciata senza parole: in fondo, per loro eravamo degli sconosciuti. Un anno dopo, in seguito al nostro secondo viaggio in Sicilia, abbiamo iniziato a dirci: “Eppure, potremmo trasferirci qui”. Durante il terzo, abbiamo comprato casa».

«Qui i rapporti umani non hanno quel retrogusto artificiale a cui ero abituata, sono più autentici. E la gente lavora per vivere e non l’inverso»


LA SICILIA NEL CUORE. «Quando vivevo negli Stati Uniti era come se mi mancasse qualcosa, non mi sentivo a casa» confessa Barbara, ripensando alla sua vicenda – che nel frattempo ha condensato nel memoir Over the Sicilian Moon – dal casolare a due passi dalle Gole dell’Alcantara, che chiama affettuosamente la “Pink house” e si appresta a trasformare in un punto d’approdo per altri americani alla ricerca della loro Sicilia. «Qui i rapporti umani non hanno quel retrogusto artificiale a cui ero abituata, sono più autentici. E la gente lavora per vivere e non l’inverso. Vorrei – prosegue – far toccare loro con mano questa terra che è così diversa da quella che ci raccontano i film». Il Covid-19 sarà probabilmente d’ostacolo al suo progetto ancora per qualche tempo, ma anche il virus dovrà inchinarsi di fronte alla conquista più importante di Barbara: «Nonostante le differenze culturali e la barriera linguistica ancora da scavalcare, questo – conclude – è il mio posto».  

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