La sua patria – quantomeno sulla carta – era la Russia, ma è con l’Europa, e soprattutto con l’Italia, che lo scenografo, costumista e cartellonista Boris Bilinsky creò i suoi legami più profondi, restando incantato in particolar modo dal fascino della provincia etnea

Tre giorni dopo il suo decesso, avvenuto il 3 febbraio 1948 a Catania, sul quotidiano La Sicilia apparve il seguente tributo: «È morto nella nostra città, dove era venuto a trovare il bel sole di Sicilia che aveva altre volte confortato i suoi sogni di artista, Boris Bilinsky. Possedeva l’anima di un fanciullo: un’anima che si rivelava interamente nella dolcezza dei suoi occhi mobilissimi e luminosi e nella infinita bontà del suo carattere. Il suo nome non potrà essere facilmente dimenticato». Non è andata esattamente così: fatta eccezione per un articolo di Salvatore Di Fazio, pubblicato sul quotidiano catanese nel 2018 per i settant’anni dalla scomparsa, infatti, a rammentare oggi la sua storia nel capoluogo siciliano sono sempre meno persone.

ARTE, MUSICA E SICILIA. La sua patria – quantomeno sulla carta – era la Russia, dal momento che Boris Bilinsky era nato nei pressi di Odessa nel 1900. All’indomani della rivoluzione, però, abbandonò il Paese alla volta della Germania, dove studiò scenografia, e successivamente della Francia, nazione in cui iniziò la carriera di scenografo, costumista e cartellonista al fianco dei più grandi registi di teatro, balletto, cabaret e grande schermo. Nel 1936 sposò poi la giovanissima attrice catanese Franca Phelan (meglio conosciuta al cinema con lo pseudonimo di Franca Belli) e iniziò a frequentare in maniera sempre più assidua città dal grande fermento culturale quali Roma e Milano, firmando i costumi e le scene di Follie viennesi per l’appena ricostruito Teatro alla Scala.

Boris Bilinsky

Se Bilinsky è passato al secolo come uno dei geni più visionari dell’Europa novecentesca, però, non è soltanto per il suo talento, quanto specialmente per la sua imprevedibilità creativa. La sua immaginazione al di fuori degli schemi, infatti, gli consentiva di proporre scenografie e locandine sorprendenti per i più diversi allestimenti dell’epoca, dal poster per la pellicola  Feu Mathias Pascal, tratta dal romanzo di Luigi Pirandello e realizzata in Francia nel 1924 per la regia di Marcel L’Herbier, al disegno dei costumi di Storia di una capinera, film del 1943 diretto da Gennaro Righelli e ispirato all’opera omonima di Giovanni Verga, a testimonianza del suo forte legame con la cultura siciliana. La sua locandina più famosa, in ogni caso, rimane quella realizzata per l’edizione francese di Metropolis, il capolavoro di Fritz Lang.

UN CONCERTO FILMATO. Non tutti sanno, inoltre, che a partire dagli anni Venti l’artista concepì un progetto ambizioso e innovativo, da lui intitolato Musica a colori. Si trattava di un tentativo di raccontare gli spartiti musicali di grandi compositori come Ravel, Berlioz o Debussy grazie a dei disegni ideati apposta per riprodurne le sfumature cromatiche, il ritmo e le trame: «Gli esempi lasciati dal pittore, mai riprodotti per esteso, ci permettono, perché strettamente correlati alle partiture da lui stesso annotate, di “seguire” un brano musicale ascoltandolo attraverso l’interpretazione pittorica», spiega al riguardo Vittoria Crespi Morbio nel saggio
Bilinsky alla Scala, edito nel 2011. In altre parole, si sarebbe trattatato di un Fantasia ante litteram, che Walt Disney avrebbe ultimato nel 1940 e che invece lo scenografo russo, dal canto proprio, non finì mai di sincronizzare.

Il poster per Metropolis di Fritz Lang

LA MORTE A CATANIA. La notizia di un cancro ormai in stadio avanzato, infatti, lo colse di sorpresa nel 1947, quando la sua professione era ormai all’apice e la sua unica figlia Valeria non aveva ancora compiuto dieci anni. Bilinsky decise allora di lasciare il lavoro e di continuare a trascorrere il tempo che gli restava a Catania, luogo in cui abitava già dal 1940 per ragioni familiari e per via del potente fascino che esercitava su di lui. Il suocero si prodigò il più possibile per assisterlo, ma invano: a pochi giorni dalle festività di Sant’Agata, nonostante le cure e il riposo a cui si sottoponeva da mesi, il neanche cinquantenne si spense nella città natale di Vincenzo Bellini. La sua salma, in un primo momento posta nel cimitero comunale, venne traslata due anni dopo presso il “Viale degli Uomini Illustri” accanto alla tomba di Giovanni Verga. La comunità giurò di custodirne il ricordo in saecula saeculorum, sebbene la memoria collettiva tenda a indebolirsi con i decenni e renda necessari tributi sempre nuovi a una delle personalità straniere più prestigiose che abbiano avuto a cuore la provincia etnea nel corso del Novecento.

Articolo aggiornato il 03/12/2019

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