Con il termine ‘ntuppatedde ci si riferiva a donne catanesi che nei pomeriggi del 4 e 5 Febbraio, si avventuravano da sole in giro per la città avvolte in un grande mantello, con il volto completamente celato per non farsi riconoscere, e che accettavano dolci e regali da corteggiatori occasionali

Alla conclusione del mese di Gennaio di ogni anno, Catania è già vestita a festa, tra luminarie e addobbi, per accogliere nuovamente tra le sue strade il busto reliquiario della sua patrona, Sant’Agata. Anche l’aria muta il suo “sapore”: chiunque, infatti, può deliziarsi con il profumo di dolciumi e prelibatezze varie, e può avvertire il dolce gusto del torrone appena adagiato su delle grandi tavole di marmo dove poi, freddo, sarà porzionato e venduto. Certamente, questa festa tanto antica ha, a poco a poco, mutato le sue caratteristiche adeguandosi ai tempi. Purtroppo, molte tradizioni sono venute meno: alcune per ovvi motivi di sicurezza, come ad esempio il correre lungo la “salita” di Via di Sangiuliano, la mattina di giorno 6 Febbraio, quando il tutto sta per concludersi; altre, perché evolvendosi la società si evolvono anche i costumi, e quelli più obsoleti vengono lasciati da parte. Tra queste ultime possiamo sicuramente annoverare quella delle ‘ntuppatedde.

LE CELEBRAZIONI AGATINE. La festa di Sant’Agata è la più importante festa religiosa della città di Catania e la terza più famosa nel Mondo. Si celebra in onore della santa patrona della città, Agata, che visse e morì nel III Secolo d.C. Si svolge tutti gli anni dal 3 al 5 Febbraio, con due altre celebrazioni più ridotte il 12 febbraio e il 17 agosto. La ricorrenza di Febbraio è legata al martirio della santa catanese, mentre la data di Agosto ricorda il ritorno a Catania delle sue spoglie, dopo che queste erano state trafugate e portate a Costantinopoli quale bottino di guerra, e dove rimasero per 86 anni. La vera festa religiosa ha però inizio la mattina del 4 Febbraio con la Messa dell’Aurora, quando il busto reliquiario di sant’Agata viene portato fuori dalla stanza che lo ha custodito durante l’anno, e “consegnato” ai devoti che lo porteranno in processione lungo un percorso esterno della Città, giro che si concluderà con il rientro nella Basilica Cattedrale in tarda notte, spesso alle prime luci dell’alba. Nella mattina del 5 febbraio, nella medesima Basilica ha luogo la celebrazione del Pontificale presieduta dalle più alte cariche religiose locali, mentre nel pomeriggio il busto reliquiario viene nuovamente affidato ai devoti per un’ultima processione lungo un percorso interno della città che si concluderà nella mattinata del giorno successivo.

DAL MEDIOEVO AI GIORNI NOSTRI. Le origini della venerazione di sant’Agata si fanno risalire all’anno seguente il martirio, ovvero al 252. Il popolonutrì subito una grande devozione per la vergine Agata che si era votata al martirio pur di difendere il suo onore e per non abiurare alla sua fede. Per quanto attiene la festa vera e propria, è molto difficile stabilire quale fu l’anno d’inizio delle celebrazioni. Sicuramente i primi festeggiamenti in onore della patrona, anche se non programmati, avvennero spontaneamente il 17 agosto 1126 quando le spoglie della Santa, come dicevamo, rientrarono in patria. In quella occasione, il vescovo di Catania, Maurizio, si recò al castello di Aci per accoglierle. Sparsa la voce, nel corso della notte i cittadini si riversarono nelle strade della Città per ringraziare Dio. Nel corso del tempo, la festa, in origine solo liturgica, fu arricchita da tanti elementi diventati delle vere e proprie tradizioni. Molti di queste ancora caratterizzano l’aspetto attuale delle celebrazioni, come, ad esempio, l’uso di far sfilare per le strade dei cerei votivi, detti cannalori, che non sono altro che un omaggio alla Santa da parte delle antiche corporazioni cittadine. Altre, tuttavia, nel corso del tempo si sono perdute, come la presenza delle ‘ntuppatedde.

LE ‘NTUPPATEDDE. Con il termine ‘ntuppatedde ci si riferiva a donne catanesi, appartenenti a varie classi sociali, sposate o nubili, che nei pomeriggi del 4 e 5 Febbraio, si avventuravano da sole in giro per la città avvolte in un grande mantello, con il volto completamente celato per non farsi riconoscere, e che accettavano dolci e regali da corteggiatori occasionali. La parola “ntuppatedda”, deriva dal siciliano “tuppa”, ossia la membrana che chiude il guscio delle chiocciole. L’elemento principale che caratterizzava le ‘ntuppatedde era proprio il travestimento, che avveniva mediante l’uso degli “occhiali”, cioè un velo che ricopriva totalmente il volto lasciando solo due fori per poter vedere. In quel tempo era un’usanza fuori dal comune che una donna uscisse di casa senza essere accompagnata, quindi tale gesto era simbolo di una libertà che con fatica, nel corso del tempo, esse si sarebbero guadagnate. Dopo il 1693, gli “occhiali” furono severamente proibiti e, quindi, sostituiti da mantelli con lunghi cappucci che mantenevano il volto “velato”. L’usanza venne abbandonata dopo il 1868, anche se da pochi anno è stata simbolicamente ripresa, quasi come se la Città fosse nostalgica dei tempi che furono.

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