Lo avevamo accolto con stupore e con un pizzico di ironia, sottolineandone il ritardo notevole se paragonato alla rete di Frecce già presenti al centro e al nord Italia, oltre all’impossibilità tecnica di viaggiare al di sopra dei 200 km/h – soglia ben al di sotto della vera alta velocità europea. Era il 9 novembre 2021, ormai quasi un anno fa, e il Frecciabianca che effettuava la tratta Palermo-Messina passando dalla città di Catania era pronto a entrare in servizio pochi giorni dopo, il 14 novembre, nonostante le nostre perplessità.

Ora, a distanza di oltre nove mesi (un intero anno scolastico, o se preferite un’intera gravidanza, ma non più di questo), lo stesso treno si è reso protagonista di una notizia quasi più sorprendente della precedente, che lo vedeva tagliare per primo il traguardo dei convogli all’avanguardia destinati alla rete ferroviaria siciliana. Sì, perché il servizio, già temporaneamente sospeso a giugno per permettere un intervento previsto nel tratto tra Bicocca e Lercara, ora che i lavori sono stati conclusi verrà sospeso in via definitiva. Una volta per tutte. In maniera inderogabile.

Sembrerebbe quasi il giusto contrappasso da destinare a chi, come noi, aveva satiricamente sollevato dei dubbi – per quanto legittimi – sulla sua efficienza, se non fosse che così facendo il tragitto Palermo-Messina e Palermo-Catania farà un passo indietro che neanche Francesca Maria Novello durante la conferenza-stampa di Sanremo 2020. Detto in altre parole, un piccolo (contrap)passo per noi, un grande passo (indietro) per l’umanità. Quantomeno per quella che si trova in Sicilia per studio o per lavoro, e che si vedrà costretta a ripiegare ancora una volta su mezzi pubblici di fortuna e su un traffico inclemente per percorrere dai 208 ai 228 km.

Costava troppo, è la spiegazione addotta da Ferrovie dello Stato per giustificare la recente decisione. E non era molto utilizzato, come ha sottolineato tre mesi fa Giovanni Russo, dell’Associazione ferrovie siciliane: solo una quindicina erano in media i passeggeri presenti a bordo, a fronte di una spesa di mantenimento ben più alta, che trasforma un treno a mercato come il Frecciabianca siculo (ovvero un treno sostenuto solo dai titoli di viaggio venduti, e non dai contributi pubblici) in un’operazione economica in perdita.

In questo modo, però, a costare troppo sarà sempre e comunque la mobilità di centinaia di persone da una parte all’altra della regione, non solo dal punto di vista finanziario ma specialmente in termini di tempo impiegato per coprire una distanza ormai irrisoria. La stessa che intercorre tra Milano e Bologna, per capirci, e che in quel caso viene effettuata con un Frecciarossa in 1h04 al costo di circa 30 euro a biglietto, mentre intanto in Sicilia il Frecciabianca impiegava 4h15 a prezzi appena appena inferiori. Quando si dice «La legge è uguale per tutti».

Per amore di cronaca, è doveroso a questo punto verificare quale sarà d’ora in avanti la soluzione su rotaie più “vantaggiosa” per chi si sposta nell’isola più grande del Mediterraneo. Aprite bene le orecchie, perché la risposta potrebbe lasciarvi di stucco: parliamo di un regionale veloce in vendita a 15 euro, che impiega 3h per coprire la stessa distanza del Frecciabianca soppresso. Un’ora e un quarto in meno, su un mezzo che esisteva già quando il Frecciabianca era stato inaugurato.

Se ci pensate, e se non siete rimasti troppo sgomenti, vedrete che di conseguenza i conti tornano. Il Frecciabianca era vuoto perché non garantiva niente di diverso, o di migliore, rispetto ai suoi competitor. Era vuoto perché costava di più e ci metteva più tempo. Perché non era sul serio una Freccia, e perché non andava incontro ad alcune delle reali esigenze di chi si muoveva da un capo all’altro della Trinacria, ovvero traghettare o prendere un aereo con facilità.

Il Frecciabianca, infatti, non faceva tappa né all’aeroporto di Palermo né a quello di Catania (che, dal canto suo, resta miracolosamente il quinto aeroporto più puntuale d’Europa), e garantiva una coincidenza con altri treni ad alta velocità in partenza da Villa San Giovanni, costringendo però i passeggeri a scendere dal convoglio e a traghettare a proprie spese con bagagli al seguito prima di raggiungere, senza scale mobili né tapis roulant, la piccola stazione calabrese.

La notizia di un simile fallimento, allora, non stupisce più di tanto. Forse si trattava di un flop annunciato, o di un esperimento che prestava più il fianco alla satira dei giornali che alle richieste dell’utenza locale. Sta di fatto che oggi, nel vedere scomparire all’orizzonte l’unica parvenza di alta velocità nostrana, non riusciamo a rammaricarcene granché. «Riposa in pace tu che puoi, oh Frecciabianca», ci viene giusto da dire. «E insegna agli angeli a guidare più veloci dei nostri Intercity notte».

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