“Cavùsi”: la parola
cara a Pirandello
che non indica le calze

Vi è mai capitato di sentire l’espressione Purtàri li càvusi? Anche se non doveste avere familiarità con il dialetto siciliano, è probabile che non vi risulti troppo oscuro il suo significato, dato che anche in italiano esiste il modo di dire Portare i pantaloni, che con una strizzatina d’occhio a una concezione della famiglia ancora patriarcale indica chi, a casa, gestisce e controlla le dinamiche di maggiore responsabilità.

Si tratta di una parola con diverse varianti provinciali, come spesso accade nella Trinacria: a Palermo si parla appunto di càvusi, mentre spostandosi verso Agrigento si parla di càzi; a Enna si reintroduce una u, che dà origine a càuzi, e nella zona del catanese la pronuncia si addolcisce e diventa càusi. La sua origine è probabilmente da fare risalire al sostantivo latino calcĕus, che all’inizio indicava le scarpe, gli stivaletti, le calzature: nel corso del tempo, gli abitanti dell’Isola devono avere associato il suo significato a ciò che copre le gambe, anziché a ciò che copre i piedi.

Se la sua etimologia non è particolarmente oscura, rispetto a casi ben più curiosi, è pur vero che nel secolo scorso i càvusi hanno acquisito un certo status letterario grazie al Premio Nobel siculo Luigi Pirandello. «Io son figlio del Caos; e non allegoricamente, ma in giusta realtà, perché son nato in una nostra campagna, che trovasi presso ad un intricato bosco denominato, in forma dialettale, Càvusu dagli abitanti di Girgenti, corruzione dialettale del genuino e antico vocabolo greco “Kaos”», disse infatti lo scrittore a proposito del suo luogo natale.

In realtà, quando nel 1853 si stabilì l’autonomia comunale di Porto Empedocle, secondo alcuni documenti riportati da Agrigento ieri e oggi, «la linea di confine fra i due comuni venne fissata all’altezza della foce di un fiume essiccato che tagliava in due la contrada chiamata ‘u Càvuso o ‘u Càusu (pantaloni, al singolare). Questo Càvuso apparteneva metà al nuovo comune di Porto Empedocle e l’altra metà al Comune di Girgenti. A qualche impiegato dell’ufficio anagrafe parse che non era cosa (che si scrivesse che qualcuno fosse nato in un paio di pantaloni) e cangiò quel volgare Càusu in Caos».

In altre parole, lo scrittore de Il fu Mattia Pascal e certe espressioni della parlata sicula hanno in comune perfino più di quanto Pirandello stesso potesse pensare.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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