In Sicilia, specialmente nei mesi da agosto in poi, tempeste e trombe d’aria non sono fenomeni poi così rari. Lo sapevano fin dall’antichità marinai e pescatori, così come i contadini, i mercanti, i viaggiatori… Ecco spiegato probabilmente il motivo per cui in dialetto si è diffusa una parola tanto suggestiva quanto pittoresca per definire questi due elementi naturali, ovvero ddraunàra (o anche ddragunàra, addraunara e ddragunèra, in base alla zona).

Così, in un solo termine, si esprime tutta la potenza sprigionata dal vento, specialmente nei casi di episodi violenti provenienti dal mare. La sua origine è da far risalire al sostantivo ddràu, cioè drago, dal momento che, secondo le credenze popolari, il forte maltempo con le sue nuvole nere dall’appendice a forma di coda ricorderebbe la propaggine estrema del corpo di un drago, pronto ad abbattersi come una bestia feroce su case e raccolti.

Nell’immaginario collettivo la storia ha fatto breccia al punto che le sue sembianze si sono evolute, con il tempo, in quelle di una donna un po’ strega e un po’ diavolo, capace con i suoi poteri sovrannaturali di entrare addirittura nel corpo degli esseri umani quando sbadigliano, se non si proteggono la bocca con la mano.

Raffigurata di solito con i capelli lunghi e sciolti e con il corpo nudo, la ddraunàra per il suo carattere tanto libero e potente ha ispirato la scrittrice ennese Linda Barbarino, che nel 2020 ha pubblicato con il Saggiatore un romanzo intitolato proprio La dragunera, e prima ancora l’autrice gelese Silvana Grasso, che aveva pubblicato alcuni racconti sotto il titolo Nebbie di ddraunàra, poi confluiti nella raccolta del 2020 La ddraunàra, uscita in questo caso per Marsilio.

Da una parte viva perfino in letteratura, quindi, e dall’altra parte temuta tempo addietro dalla popolazione siciliana, che per tenerne lontani gli effetti malevoli era solita ricorrere a diverse accortezze contro le trombe d’aria, come quella di esporre sulla soglia di casa degli oggetti di ferro (considerata l’avversione degli spiriti per questo materiale), o come quella di pronunciare il seguente scongiuro in dialetto, riportato da Nello Blancato sul suo blog:

«Bedda Matri ri lu ‘uoscu nta na cammira stapìa, /cun llibbru a li manu ca ligghìa, / n’ancilu a li pieri cci rurmìa: / Sùsiti iàncilu, nun nurmìri, / ca tri nìuli viru vinìri: / una ri acqua, una ri vientu, / una ri cura ddraunara. / Pigghiamu n’cutieddu / spaccamula nta lu mienzu / ittamula nta na cava scura / unni nun ci canta iaddu, / unni nnun ci luci luna, / unni nun ci rregna nessuna creatura», che in sintesi era una preghiera mirata a fendere in due il vento e a gettarlo in un posto buio e solitario, dove non potesse nuocere a nessuno.

Affascinante com’è, però, la ddraunàra è sopravvissuta anche a simili espedienti, e tuttora incanta (quando non infesta) l’intera Sicilia con il suo potere.

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