Intitolato “La logica della lampara”, il giallo di ambientazione siciliana avrà come protagonista ancora una volta il vicequestore Vanina Guarrasi. L’autrice ci ha parlato della sua ultima fatica ma anche di antimafia e di cosa significhi il crescente successo delle donne nel mondo della letteratura
Una misteriosa valigia gettata tra gli scogli in piena notte. Una strana telefonata che informa il vicequestore Vanina Guarrasi che una ragazza è stata uccisa. Inizia così l’avvincente giallo “La logica della lampara” di Cristina Cassar Scalia, autrice già nota per “Sabbia Nera”, entrambi pubblicati da Einaudi nella collana Stile Libero Big. L’autrice, che presenterà il suo romanzo mercoledì 8 maggio alle 20:30 presso Open a Catania, ci ha raccontato il suo nuovo romanzo con le sue influenze sciasciane e di letteratura al femminile».
Come è nata l’immagine della pesca con la lampara e in che modo è divenuta metafora del caso che il vicequestore Vanina Guarrasi dovrà risolvere?
«In realtà l’uso metaforico di quest’immagine è nato successivamente, dalla battuta di uno dei miei personaggi tra le prime pagine del romanzo. L’idea di partire dal quadretto idilliaco del dottor Manfredi Monterreale e del giornalista Sante Tammaro in barca, mentre si dilettano nella pesca con la lampara, è invece frutto della mia figurazione: una sera osservavo un pescatore con la lampara nel mare nero e ho pensato che fosse la situazione perfetta per i miei due personaggi. È dal loro dialogo che nasce la battuta del dottor Monterreale, che scherzando sulle lente e pazienti dinamiche di questa tipologia di pesca esclama “Ca certo, una filosofia di pesca!”. Ecco che un’antica tecnica ittica diviene la metafora del misterioso caso che il vicequestore dovrà risolvere».
A questo proposito come descriverebbe Vanina Guarrasi, vicequestore già protagonista del suo precedente romanzo, Sabbia nera?
«Molti la definiscono una tosta. Dal punto di vista professionale è una donna con una carriera di tutto rispetto alle spalle, dotata di un’autorevolezza che i suoi superiori riconoscono. Lei è venuta fuori così, mi piaceva l’idea che si trattasse di una donna che non doveva faticare per farsi rispettare, sebbene in un ambiente lavorativo principalmente maschile. Volevo che Vanina avesse già superato e vinto questa sfida ed è stato proprio così. Anzi, i suoi colleghi pensano che sia sprecata nel ruolo che ricopre. Il vicequestore Guarrasi è anche un personaggio seriale, nato con questo connotato sin dal primo romanzo e attualmente opzionato per il cinema e la tv».
Ma il vicequestore è soprattutto una donna che ha vissuto sulla propria pelle l’antimafia e ad un certo punto del romanzo a questo proposito parla di una “retorica della legalità”. Cosa intende?
«La “retorica della legalità” non vuole essere una critica nei confronti dell’antimafia, quanto piuttosto nei confronti della sua spettacolarizzazione. È una constatazione che Vanina fa in quanto personalmente vittima della criminalità organizzata, a causa della quale ha perso il padre, e il cui spettro continua a pesare nella sua vita privata. Probabilmente dietro questa battuta c’è un’influenza di matrice sciasciana: si tratta di uno dei miei autori preferiti quindi credo sia inevitabile che influisca su ciò che scrivo».
Ci sono altri autori, oltre a Sciascia, che riconosce quali padri della sua scrittura?
«Credo che tutti i libri che un autore ha letto influiscano sulla sua scrittura. Se poi parliamo di padri del giallo sicuramente Sciascia sta al primo posto, ma anche Simenon, Gadda, Camilleri, Fruttero e Lucentini, sono gli scrittori con cui sono cresciuta e che certamente, seppure involontariamente, influenzano la mia scrittura».
Con “La logica della lampara” l’ambientazione siciliana torna nella sua opera, ma con che ruolo?
«La Sicilia ha un ruolo fondamentale nella mia opera, per me è una sorta di personaggio e non semplicemente una scenografia che fa da sfondo ai personaggi. D’altronde credo che chiunque scriva di Sicilia renda sempre questa regione un personaggio vero e proprio che dà un valore aggiunto alla storia».
Il panorama letterario contemporaneo assiste ad una grande crescita del romanzo giallo. Secondo lei a cosa è dovuto?
«Credo che il giallo in questo momento attragga il lettore perché gli consente di analizzare il sociale pur intrattenendosi con una trama che tiene desta l’attenzione e diverte. Per l’autore significa raccontare tutta la società, comprese le sue sfumature più nere, creando personaggi buoni, cattivi ma anche più sfumati. Il lettore di un giallo trova poi una società con dei chiaroscuri ma in cui il cattivo viene sempre assicurato alla giustizia: personaggi come il vicequestore Varasi arrestano il cattivo per sbatterlo in galera e portando a conclusione il romanzo, senza che al lettore sia dato sapere tra quanti anni verrà liberato o cosa ne sarà di lui. Il giallo è infine uno dei generi che non può prescindere dal realismo, la storia è totalmente inventata ma si inventa rimanendo all’interno dei canoni della realtà».
La scrittura siciliana si sta femminilizzando, Silvana Grasso e Maria Attanasio, Emanuela Abbadessa e Nadia Terranova, ne sono un eloquente esempio. Si tratta secondo lei di un riscatto rispetto al passato o di un vero ribaltamento nella società?
«La letteratura riflette quello che accade nella società. Le donne hanno gradualmente raggiunto importanti conquiste come testimonia la posizione ricoperta da Vanina, che è relativamente una novità tra le forze dell’ordine. La letteratura ha insomma avuto il tempo di riflettere sui cambiamenti della realtà e questo certamente si ripercuote positivamente nella crescita della scrittura femminile. Detto questo devo però chiarire che non amo molto distinguere tra le forme di scrittura femminile e quella maschile, anzi ritengo questo tipo di classificazione riduttivo».