Avete presente le ragazze che amano raccogliere i propri capelli in uno stretto chignon dietro la nuca? Bene. Avete presente le tipiche brioche siciliane, che spesso vengono mangiate farcite di creme o in accompagnamento, da vuote, a granite e gelati nei bar? Bene. Cos’hanno in comune le due cose, vi chiederete, oltre al fatto che alcune persone appartenenti alla prima categoria possono essere delle amanti della seconda? In comune, in dialetto, hanno in realtà ben più di questo. Ma andiamo con ordine.

In antico normanno la treccia di capelli sulla nuca era chiamata toupin, mentre in gallico toupeau; in francese antico, invece, il termine top stava a indicare il ciuffo. Tali voci confluirono nel francese moderno toupet, che ha dunque la stessa radice e che fino a oggi indica proprio la crocchia in cui si raccoglie la capigliatura. Di lì, il lemma è arrivato in terra sicula, trasformandosi nel tùppu.

Il sostantivo, tramandato nella regione di generazione in generazione, non ha però un solo significato. La forma sporgente e rotondeggiante che crea lo chignon sul capo femminile, infatti, è stata associata metaforicamente proprio alla brioche di cui sopra, caratterizzata da una protuberanza centrale più alta rispetto al resto della pasta. Ecco dunque che, se volete essere certi di non creare fraintendimenti con la persona a cui vi state rivolgendo, per indicare questa specialità della pasticceria siciliana optate per la formula bbriòscia cco’ tuppu.

I più non sanno, tuttavia, che il termine ha anche una terza valenza, ormai caduta quasi in disuso e che per secoli è stata quella di coraggio, disinibizione. Il detto Ccù teni uppu si mmarìta non vuol dire, quindi, che solo le ragazze che hanno raccolto i capelli in un chignon o che hanno una brioche fra le mani sono destinate a trovare marito, bensì che solo le donne con un atteggiamento disinvolto e ardito riusciranno a conquistare un buon partito, almeno secondo un’antica convinzione popolare.

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