La Francia ha Parigi, la Germania Berlino, il Regno Unito Londra, la Sicilia…ha la Sicilia. Esattamente: al contrario di buona parte degli altri Paesi di grande storia e cultura o delle altre regioni di dimensioni approssimabili a quelle della nostra isola, la Sicilia non ha un centro di riferimento, una città esclusiva ed aggregatrice cui fare riferimento. La Sicilia, piuttosto, possiede numerosi centri, svariati poli in continuo fermento che si fecondano l’un altro da secoli e ridefiniscono il classico rapporto tra città e periferia. E proprio questo aspetto imprevedibile e multiforme rappresenta la sua forza: ogni angolo di Sicilia vale la pena di essere raccontato perché, ognuno a modo suo, ha saputo contribuire alla stratificazione di quei miti che rendono l’isola ininterrottamente appetibile e affascinante. Dalla gloriosa e antica Siracusa, tra le mete mondiali privilegiate secondo il NYTimes, ai piccoli borghi traboccanti di magia e di tradizioni autentiche, fino a realtà come quella di Caltanissetta, insospettabile, ai più, nucleo di diffusione di un sapere alto e raffinato.

La ridente cittadina dell’entroterra siculo, non a caso, può fregiarsi di essere stata definita, per un lasso di tempo che andò dagli anni ’30 alla metà degli anni ’50 del ‘900, “Piccola Atene”. Una così significativa definizione assume ancor più rilevanza in considerazione del fatto che ad inventarla fu un illustre figlio della nostra terra, che per di più conosceva bene, e fin dall’infanzia, il valore della cittadina nissena: nel 1935, infatti, Leonardo Sciascia si era trasferito lì con la famiglia, frequentando le superiori come allievo di un altro eccelso letterato quale Vitaliano Brancati. Come se non bastasse, furono i contatti acquisiti in quegli anni a permettergli di muovere i primi passi nel mondo della letteratura: pochi sanno, del resto, che fu un suo omonimo, ma non parente, a lanciare Sciascia per la prima volta nel mondo dell’editoria. Grazie a questo personaggio oggi poco mediaticamente in vista Caltanissetta visse il suo periodo d’oro. Si chiamava Salvatore Sciascia, fondatore di una casa editrice nel 1946 e di una libreria nel 1950, entrambe col suo nome. Quella stessa libreria, situata in Corso Umberto 111, che fino alla sua triste chiusura nel 2012 funse da imprescindibile perno di cultura attorno al quale ruotò non solo un fermento intellettuale mai più replicato, ma anche un gruppo di personalità straordinarie, riconosciute oramai non solo come patrimonio italiano, bensì mondiale. Oltre ai già citati Brancati e Sciascia, l’editore nisseno pubblicò personaggi del calibro di Alberto Bevilacqua, Vicente Aleixandre (poeta spagnolo vincitore del Nobel nel 1997) e, su tutti, Pier Paolo Pasolini, senza contare altri rilevanti letterati siciliani come Nino Savarese e Rosso di San Secondo. Salvatore Sciascia morì nel 1986, tre anni prima del suo caro amico Leonardo, e con lui quello slancio artistico che aveva innervato la sua amata Caltanissetta. Ma non il ricordo di quanto aveva costruito, che oggi più che mai va riportato alla luce della notorietà.

Salvatore Sciascia davanti alla sua libreria

Perché Leonardo Sciascia optò proprio per il paragone con Atene? Il lusinghiero parallelismo non va interpretato soltanto in funzione della caratura degli scrittori che gravitarono nell’orbita nissena, un po’ come quelli che fiorirono nella pòlis greca del V sec. a.C, ma anche in virtù del simbolo di pace e libertà che incarnò. Fin dagli anni ’30, ben prima che venissero fondate libreria e casa editrice, Salvatore Sciascia aveva avuto la lungimiranza di formare quel circolo di intellettuali che, nel Dopoguerra, avrebbero coronato i suoi sforzi a suon di opere di straordinaria importanza. Il sapere è rifiuto dell’oppressione, baluardo contro ogni imposizione, motivata ribellione al controllo totalitaristico. Salvatore Sciascia lo sapeva bene e in un momento in cui imperversava l’ombra minacciosa del Fascismo nel suo apogeo – le leggi razziali risalgono esattamente a quel momento, tra il 1938 e il 1939 – Caltanissetta diveniva fortezza della sana critica, capofila di un movimento rivoluzionario che opponeva allo stridere delle armi il peso delle parole e l’ardire di essere visionari, e al nascente malaffare mafioso un’irriducibile indagine sociale. In questo modo il libero pensiero fluiva e irrorava il nisseno, affascinando persino un corsaro come Pasolini. Un flusso oggi non esattamente valorizzato a dovere, e certamente meno impetuoso. Ma pur sempre presente. Traccia indelebile per un futuro che da lì possa ripartire.

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