A prima vista il termine sembrerebbe il corrispettivo dialettale di “tinto”, ovvero di pitturato, dipinto, colorato. Peccato che per gli isolani il senso sia non solo diverso dalle apparenze, ma addirittura molteplice

Chi conosce il siciliano sa che spesso, per assonanza con lingue prossime, il rischio è di trovarlo incomprensibile e di farsi ingannare da falsi amici. Ne è un esempio eclatante il termine “tintu”, che a prima vista sembrerebbe il corrispettivo dialettale di “tinto”, ovvero di pitturato, dipinto, colorato. Peccato che per gli isolani il senso sia non solo diverso dalle apparenze, ma addirittura molteplice.

Una persona tinta, infatti, è una persona cattiva, capace di compiere delle brutte azioni: in questa accezione la parola è un vero e proprio insulto e non ammette attenuanti. Diverso è il caso di un oggetto tinto, che invece è da considerarsi difettoso, di poco valore, o magari taroccato. Una definizione, insomma, che una nonna attribuirebbe per esempio a una stoffa non raffinata.

Tinti possono essere anche i pensieri, quando oltre ad essere malvagi sono maliziosi im accezione sessuale, e tinto può essere addirittura un bambino, se lo si vuole definire come monello, scalmanato, poco obbediente. Una polisemia incredibile, quindi, racchiusa in un aggettivo la cui origine rimane ancora oggi dubbia.

Da una parte c’è chi pensa che provenga dallo spagnolo “tinto”, ovvero “rosso”, un colore spesso associato al vino di bassa qualità o addirittura a famiglie e persone da cui sarebbe meglio guardarsi, dato che nella cultura popolare è tipico delle manifestazioni demoniache (si veda, non a caso, la cattiva fama dei rossi di capelli nel Mediterraneo, resa celebre in letteratura dalla novella verghiana di Rosso Malpelo).

Dall’altra parte, si è immaginata una derivazione dal latino “tinctus” (bagnato, impregnato), che sarebbe stato poi riutilizzato in senso religioso dalla Chiesa cattolica per indicare un battesimo eretico – e pertanto non corretto, non “buono”. Non sarebbe un caso, in tal senso, il modo di dire più esteso “tintu e malu vattiatu”, cioè “battezzato male” e di conseguenza contraffatto, non valido, di cui dubitare.

In entrambi i casi, comunque, il passo dall’etimologia in sé e per sé alla connotazione morale negativa è molto breve, e dimostra non solo le antiche e multietniche origini dell’idioma della Trinacria, ma anche e soprattutto le sue sorprendenti sfaccettature, non sempre intuibili con facilità.

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