Se avete mai seguito una competizione sportiva con un siciliano, vi sarà capitato almeno una volta di vederlo fissare lo schermo con un misto di rabbia, rammarico e incredulità, ed esclamare: «S’astruppiò!».

Un’espressione che, per chi non ha dimestichezza con il dialetto della Trinacria, potrebbe suonare a un primo impatto incomprensibile, e che proprio per questo è interessante approfondire meglio, così da orientarsi di più alla prossima occasione e, più in generale, conoscere da vicino la storia etimologica di un verbo tanto curioso quanto diffuso.

Il suo infinito è astruppiàrsi (o astruppiàrisi, struppiàrsi e astruppiàrisi, in base alle zone), forma riflessiva di astruppiàri, e nel caso di un match agonistico il riferimento è al giocatore che da un momento all’altro ha perso l’equilibrio, è caduto o è stato spinto, e al di là delle solite finte sembra che stavolta si sia fatto male sul serio.

Secondo alcuni linguisti, si tratterebbe di un’antica parola derivante nientemeno che dal latino popolare turpidare, ovvero sporcare, insozzare, forse per via del fatto che chi cade è generalmente destinato a imbrattarsi di terra, o comunque troverà sui propri vestiti una traccia evidente di quanto è accaduto.

Secondo altre teorie, invece, l’origine del termine è da far risalire piuttosto allo spagnolo estropearse, che vuol dire proprio farsi male, e che si sarebbe formata a partire dalla forma del latino volgare extorpiare, dal più classico extorpescere, che in passato voleva dire restare intorpidito, paralizzato, inoperoso.

In quest’ultimo caso, l’analogia sarebbe quindi con lemmi ancora in uso nella nostra lingua nazionale come intorpidirsi e torpore, anche se c’è chi sottolinea che la prima ipotesi resti quella più plausibile, dal momento che un tempo turpidare non voleva dire solo rendere sporco, bensì più in generale rendere vergognoso perché goffo, esattamente come ci appare goffo chi cade procurandosi qualche graffio.

Quale che sia la verità, astruppiàrsi rimane un verbo ampiamente usato fino ai nostri giorni nell’isola, da cui è nata anche l’usanza di chiamare sparatràppu, sparatrapp o sparatrac il cerotto che serve poco dopo per medicarsi.

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