Qualcuno, una volta, disse che la letteratura non è il luogo del reale; ma che, tuttavia, risulta essere il luogo del vero. Una contraddizione solo apparente, se la si analizza fino in fondo. Quasi un dato di fatto, verrebbe da dire, specialmente se prendiamo in esame la nostra cara Sicilia e colui cui va attribuita la paternità del pensiero sulla letteratura, ovvero Leonardo Sciascia. Quante volte, infatti, ci siamo sentiti esasperati e incapaci di trovare il bandolo della matassa in quell’insieme ingarbugliato di vicende che contraddistingue il nostro vivere storico e sociale? Quante volte la verità è stata manipolata – o sapientemente occultata – per gli scopi più svariati, salvo poi essere svelata con la forza detonatrice di uno scandalo? E quale ambito del vivere civile può fregiarsi di questi poco lusinghieri primati, se non quello politico? E non è un caso che, in più occasioni, i siciliani si siano dimostrati particolarmente disaffezionati e scettici nei confronti del voto; e sebbene non li riguardi nella loro interezza, anche i giovani hanno risentito di questa inclinazione acuita dal nostro essere nativi di un’isola, come spesso si è detto.

Tra le pagine sciasciane è possibile individuare il progenitore di tutti i siciliani moderni, avversi all’imposizione di dogmi e alla continua ricerca di una libertà agognata. Stiamo parlando di Candido Munafò, singolare protagonista dell’agile libretto Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia, pubblicato nel 1977, a sua volta ispirato al Candide di Voltaire (1759). Nato nella notte in cui nell’isola si consumava lo sbarco degli alleati, Candido viene significativamente chiamato così, invece che Bruno, come il figlio di Mussolini, per evidenziare, fin da subito, la sua radicale diversità col passato. Ben presto abbandonato dalla madre e rimasto privo di padre per una strana dinamica da lui messa involontariamente in moto, il ragazzo finisce per crescere col nonno, assistendo, nel Dopoguerra, al suo trasformistico passaggio dalle schiere fasciste a quelle democristiane e mettendolo, a tal proposito, in imbarazzo con domande scomode che nessuno aveva il coraggio (e l’interesse) di fare. Nemmeno quando il giovane verte sull’adesione al Partito Comunista rimane soddisfatto: verrà infatti espulso per aver rifiutato il tentativo di corruzione dei suoi compagni di partito che, sulle terre di sua appartenenza, volevano costruire un ospedale dividendosi i ricavi della concessione d’appalto. L’incontaminata ingenuità di Candido, che contagia perfino l’amico Don Antonio facendogli decidere di lasciare la Chiesa, si ritrova anche a fine romanzo: a Parigi, dove Candido si è trasferito con l’amata Francesca, in un impeto di libertà Don Antonio definisce la statua di Voltaire come nuovo «padre». Ma la risposta di Candido è eloquente: «Non ricominciamo coi padri». Ecco, sulla scorta di Candido, i giovani siciliani – ma non solo – sembrano voler deliberatamente rinunciare alla torbida eredità di chi li ha preceduti. Sono affamati di verità e trasparenza, di apertura al confronto e di dubbi. Sono affamati di una nuova via da costruire.

Spesso sarà capitato di sentire, in bocca a personaggi più o meno rilevanti, parole di biasimo verso chi non si sente rappresentato, verso chi aspira ad un’etica diversa, ad un futuro che non somigli al passato. A volte questo malessere può sfociare nell’astensionismo delle elezioni, altre volte in scelte politiche radicali o minoritarie, altre volte ancora nell’intraprendere ex novo percorsi nuovi e ambiziosi. Una cosa, però, spesso, accomuna questi risvolti: la voglia di sottrarsi alla rassegnazione che tutto debba andare come qualcuno ha stabilito per tutti gli altri, di lottare contro il malaffare diffuso che soffoca la libertà d’azione. La stessa voglia di Candido, che, senza volerlo, con la sola scelta di non scegliere, metteva a nudo tutte le crepe di un sistema presentato come necessario. Il personaggio sciasciano veniva definito da parenti e compaesani “ingenuo”. E forse lo sono anche i giovani siciliani. Forse sono proprio una generazione ingenua, desiderosa di scrivere un futuro che non abbia un solo colore o un solo marchio. Se i giovani che non credono alla politica sono tali, ben venga il potere salvifico dell’illusione. In attesa di padri migliori. O in attesa che essi stessi diventino i padri che avrebbero voluto avere.

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