«Mentri sugnu na ‘sta vita di guai, cosi di morti mittitimminni assai!». Così recita un antico detto siciliano che fa riferimento alla sentita, specie nell’isola, ricorrenza del 2 novembre, ovvero la cosiddetta Commemorazione dei defunti o Festa dei Morti. Una ricorrenza del tutto peculiare, avvolta da una spiritualità che oscilla tra quella cristiana e quella pagana, erede della millenaria storia isolana che ha visto alternarsi culture religiose estremamente diverse tra loro. Non si spiegherebbe altrimenti la convivenza di credenze come quella del compianto ricordo sulla tomba dei propri cari con quella che, in alcuni paesini, vuole che i morti tornino in superficie con una vera e propria processione dai contorni gotici simili a vari racconti di Halloween. Ma qual è il senso vero di questo legame tra il mondo dei vivi e l’Oltretomba? Al di là di ciò che ruota attorno alla festa, tra mercatini e dolci tipici, qual è il messaggio originario sotteso alla Festa? Il ricongiungimento. Parziale, certo, ma pur sempre possibile.


SPECIALE FESTA DEI MORTI


La Festa dei Morti, forse più di ogni altra, possiede il potere di tenere insieme due dimensioni, che sono sia temporali – il passato rappresentato da chi non c’è più e il futuro incarnato da chi continua il suo corso – sia interiori, il ricordo e la prospettiva. Anzi, nella tradizione di tale ricorrenza, e in Sicilia con un’intensità ancora maggiore, non può esistere un autentico 2 di novembre senza l’elemento del ricordo. Quando non ci si sofferma su di esso, infatti, la Festa perde di significato, si svuota, assumendo contorni tristi e a tratti macabri. Lo sa bene Giovanni Verga, che nella sua novella intitolata proprio La Festa dei Morti, compresa nella raccolta del 1887 Vagabondaggio, descrive delle anime imbruttite a causa dell’oblio in cui sono cadute, imprigionate quasi da un incantesimo nella cripta di una chiesa e destinate a svanire senza lasciare traccia. Nella concezione siciliana, tutto ciò non dovrebbe mai accadere: non solo per il dovere sacro di continuare ad onorare chi non c’è più, ma anche e soprattutto per garantire alla comunità dei viventi una prosperità ininterrotta. Proprio così: richiamare alla mente coloro che ci hanno lasciato influisce sul presente, in un intreccio fittissimo tra piano materiale e piano dell’anima. Il ricongiungimento di cui si parlava poco sopra appare perciò necessario per diventare consapevoli della ciclicità della nostra esistenza.

La Commemorazione dei defunti ha il sapore di un momento autunnale, in cui si fa il pieno di provviste per affrontare il gelo invernale, in cui il cuore si fortifica contemplando ciò che non esiste più in attesa della primavera e del calore che vivificherà nuovamente tutto

Appare adesso più chiaro il perché si ripeta di continuo che i defunti lascino dei doni ai bambini e ancora più chiaro appare il motivo per cui, anticamente, si cominciava a seminare proprio in corrispondenza della Festa dei Morti. Dedicare un pensiero ai defunti equivale a dedicarlo a noi stessi, alla nostra comunità, a ciò che siamo stati e inevitabilmente saremo. La Commemorazione dei defunti ha il sapore di un momento autunnale, in cui si fa il pieno di provviste per affrontare il gelo invernale, in cui il cuore si fortifica contemplando ciò che non esiste più in attesa della primavera e del calore che vivificherà nuovamente tutto. Così i defunti sono dei garanti della prosperità futura: ci insegnano a rispettare il passare del tempo, a restare attaccati alle radici della nostra storia. Ricordiamo i morti perché siamo vivi, per il dovere morale di portare avanti ciò che abbiamo ereditato, per fermarci, chiedere consiglio e ripartire. Il ricongiungimento di una notte, in fondo, serve a questo: a coltivare la memoria, ad apprezzare ciò che abbiamo in virtù di ciò che abbiamo perso. Dalla morte, la vita.


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