Questa, in Sicilia, è una settimana particolarmente sentita: le generazioni più giovani oggi festeggiano Halloween, importata per direttissima dall’America, ma con sfumature e tradizioni mescolate alla storia locale. Domani e dopodomani, invece, i membri di qualunque famiglia si riuniranno nel tentativo di commemorare i propri defunti, stringendosi insieme nel ricordo delle persone più care in un’ottica di temporaneo ricongiungimento simbolico che abbiamo di recente approfondito in questo articolo.

Oltre agli aspetti culturali e religiosi delle festività legate alla settimana dei Morti, approfondiamo allora anche l’etimologia di un termine legato al medesimo campo semantico e dalle origini, come sempre, più che affascinanti. Si tratta della parola “tabbùtu”, che sarebbe riduttivo definire come una “bara” tout in court in italiano. In dialetto, infatti, il tabbùtu può anche riferirsi alla carcassa di un animale morto o a una rientranza in corrispondenza del torace, da cui non a caso deriva il verbo ‘ntabbutàri, cioè collocare nella cassa da morto un defunto con la gobba.

E non è tutto: un tabbùtu può essere anche una persona di scarsa intelligenza –quindi si dirà che “pari ‘n tabbùtu”, cioè “sembra un babbeo” – e assume un significato traslato nell’espressione proverbiale “cunzàrisi ‘u tabbùtu”, letteralmente “apparecchiarsi la bara”. Il detto alluderebbe a chi combina un guaio che gli si ritorce contro e potrebbe essere considerato, dunque, un corrispettivo dell’italiano “darsi la zappa sui piedi”, dal momento che chi si prepara la tomba con le proprie mani sa che presto farà una certa fine.

Il termine è attestato già a partire dal 1200, come dimostra un documento latino ritrovato a Erice in cui appariva proprio la parola “tabutus”. A dispetto di quanto si potrebbe pensare, tuttavia, l’etimologia non è da fare risalire agli antichi romani, bensì alla radice araba “tābūt”, che si diffuse presto in tutto il Mezzogiorno e che, grazie alla conquista iberica, raggiunse le coste spagnole e di lì il suolo francese. Nel frattempo, ne conservò le tracce anche l’italiano del 1500, nella voce “ataùto” (lett. “feretro”), e il pisano antico, in cui è possibile riscontrare l’utilizzo di “tambùto” inteso nel senso di “forziere”. Con la stessa valenza, più di scrigno che di cassa mortuaria, la parola è rimasta fino ad oggi anche in Portogallo e in Catalogna, mentre in Sicilia rimane tuttora lo scrigno che custodisce il corpo di chi non c’è più.

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