Il termine ha origini molto lontane nel tempo, dato che deriva dal latino “lixa”. La parola si è poi trasformata in “lixīvia” ed è passata all’italiano nella forma attuale “liscìvia”. È un modo di dire tipico specialmente del catanese, che si adatta perfettamente a chi ha parecchia voglia di scherzare senza una ragione apparentemente sensata. Uno stato d’animo improvviso e irrefrenabile che la dice lunga sull’anima sicula e sulla sua naturalissima joie de vivre

Sarà capitato a tutti, almeno una volta nella vita, di iniziare ad essere particolarmente di buonumore per un pretesto non per forza brillante. Una risata tira l’altra ed ecco che ci si ritrova a considerare divertente anche il gesto più banale, la frase più neutra, l’occasione più quotidiana. Una sensazione che i siciliani conoscono così bene da averle dato addirittura un nome: chi è in questo stato, infatti, viene normalmente etichettato come uno che ha la “liscìa”.

QUESTIONI DI ETIMOLOGIA. Il termine ha origini molto lontane nel tempo, dato che deriva dal latino “lixa” (ovvero, ranno). La parola si è poi trasformata in “lixīvia” ed è passata all’italiano nella forma attuale “liscìvia”. Si tratta in tutti i casi di una particolare varietà di sapone, utilizzata già nell’antichità e prodotta creando un infuso di cenere setacciata e acqua bollente, indispensabile già allora per lavare a mano. Da qui anche la voce “lisciaia”, per l’appunto la stanza dove ci si dedicava alla pulizia dei panni.

LE SUE VARIANTI DIALETTALI. Oggi, nelle sue varianti dialettali, la “liscìvia” ha acquisito un significato traslato non solo nella Trinacria. In Friuli-Venezia Giulia, infatti, “fare la liscia” è sinonimo di “fare il bucato”, proprio perché quest’ultimo veniva strofinato con il sapone di cui sopra, e la “liscia” in sé e per sé indica tutto quello che non si è ancora infilato in lavatrice o sotto il rubinetto.

UN MODO DI DIRE TIPICO. Nell’isola più grande del Mediterraneo, invece, la “liscìa” cambia accento ed è accompagnata dal verbo avere, trasformandosi così in un modo di dire tipico specialmente del catanese, che si adatta perfettamente a chi ha parecchia voglia di scherzare senza una ragione apparentemente sensata. Indicata spesso come giustificazione per una ridarella prolungata, la “liscìa” va tuttavia sottolineato che non ha mai niente a che vedere con l’alcol e che, anzi, indica proprio lo stato di leggera ebbrezza che colpisce chi per la verità non ha bevuto nemmeno un goccio.

Uno stato d’animo improvviso e irrefrenabile, quindi, che la dice lunga sull’anima sicula e sulla sua naturalissima joie de vivre.

 

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

2 Comments

  • Angelo Cannata
    6 anni ago

    Credo in questo caso Eva Luna Mascolino abbia sbagliato nello spiegare l’espressione siciliana “avìri a liscìa”: non c’entra niente la liscivia per lavare il bucato. Risulta molto più chiaro e semplice far riferimento al latino “lascivia”, il cui primo significato non è, come in italiano, “sensualità”, ma semplicemente “gaiezza, allegria”, e quindi si adatta perfettamente come etimologia.

    • Eva Luna Mascolino
      6 anni ago

      Gentilissimo, grazie per il messaggio.
      In realtà, se ha letto l’articolo, non ho indicato questa etimologia come spiegazione del detto siciliano, bensì della variante (diversa per origine e anche per significato) del dialetto del Friuli-Venezia Giulia.
      Mi è sembrato interessante perché le due espressioni sono in apparenza molto simili, anche se appunto hanno una storia linguistica completamente diversa, come appunto emerge nel pezzo. 🙂
      La “lascivia” latina, per quanto sia stata la mia prima ipotesi e una abbastanza probabile in termini logico-semantici, non è attestata come etimo ufficiale e, poiché cerco di riferirmi solo a fonti certe (o quantomeno a fonti, per quanto non verificate al 100%, che non derivino soltanto idee della sottoscritta, dato che non scrivo post opinionistici su un blog/forum, ma un articolo giornalistico che possa avere un’attendibilità oggettiva), ho preferito evitare di citarla.
      Se, però, conosce una fonte che a me è sfuggita e in cui è contenuta questa teoria etimologica, me lo faccia sapere: sarei ben lieta di integrarla nel pezzo e di ringraziarla per l’importante e interessante apporto.
      Buon proseguimento e grazie di avere notato il mio articolo!

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