“Sante ragazze”: il modo migliore di raccontare le grandi donne è lasciarle parlare
Quando qualcuno viene a trovarmi a Catania, mia città di origine, nel tour che propongo di fare insieme includo sempre i suoi luoghi di culto più iconici: mi dànno l’occasione di spiegare da dove veniamo, chi siamo stati, cosa abbiamo scelto di tramandare o di dimenticare da queste parti. E mi portano inevitabilmente a parlare di Sant’Agata, patrona amatissima e dalle vicende personali a dir poco agghiaccianti.
Nel 2022, ancora una volta, le celebrazioni che la vedono protagonista dei primi giorni di febbraio sono state sospese per via della pandemia. E tuttavia, nella settimana di questa ricorrenza, mi sono ritrovata a sfogliare un volume uscito da poco in libreria, un albo illustrato a mo’ di breviario medievale, dedicato a dodici Sante ragazze che nei secoli hanno segnato non solo la storia della Chiesa, ma anche quella del loro tempo.
Ragazze che sono diventate Sante perché ribelli, perché determinate, perché difformi. Sante al posto di streghe per puro caso, forse, perché è così che funziona il mondo: oggi acclamata qui, domani bruciata viva lì; oggi bruciata viva qui, domani santificata lì. Assurdo, a volte illogico, diciamo pure intollerabile. Eppure facile a verificarsi.
Ebbene: nell’opera curata da Ljubiza Mezzatesta ed edito da Lunaria, ho ritrovato un capitolo anche su Agata. Sul suo comportamento coerente, incorruttibile, appassionato. Perfino davanti a un uomo che, come accade tuttora in fin troppe circostanze, voleva piegare la sua volontà per motivi – guarda caso – economici, politici, sessuali.
Riscoprirla protagonista di una narrazione d’eccezione, con la riproduzione della cattedrale e un suo ritratto a tutta pagina, mi è servito per ricordarmi, adesso che tocca aspettare momenti più propizi per visitare chiese o invitare in Sicilia gente che vive altrove, in quanti modi nuovi si potrebbe ri-raccontare una storia antica.
D’altronde, è fondamentale ripescare dall’oblio nomi e cronache di donne, certo, così come resta cruciale aggiornare l’ottica da cui si osserva l’esperienza di chi la prova del tempo l’ha già superata: sante o streghe, poetesse o scienziate, artiste o avvocatesse, «le donne hanno dato un contributo di certo non inferiore a quello degli uomini nella lunga storia dell’umanità, e il più delle volte in condizioni ben più disagiate», scrive non per niente Ljubiza Mezzatesta nell’introduzione a Sante ragazze.
Ma ancora più importante è forse capire come parlare di loro, quali parole scegliere, in che modo ripercorrere la loro extra-ordinarietà. Eliminare i figli come prima notazione sul loro conto, aggiungere il cognome, valorizzarne le azioni, menzionarne le opere d’ingegno. E poi lasciare che, quando possibile, siano loro a parlare in prima persona, a riprendersi quella voce scomoda, ambigua e complessa che troppo a lungo è stata zittita, edulcorata o controllata.
Perché è anche da qui che passa il nostro modo di stare al mondo: dal rimetterci, nel mondo, non da ultimo attraverso i libri, tutte quelle figure che la parità di genere rischierebbero altrimenti di non ottenerla nemmeno dopo la morte.