Da un paio d’anni, ormai, il dibattito sulle intelligenze artificiali è sempre più acceso, sempre più attuale. Sempre più inevitabile. Sembra che da una parte ci sia un mondo vecchio, che fa fatica a morire ma che già si vede superato da diavolerie digitali su cui fino a qualche decennio fa non avrebbe scommesso una lira, mentre dall’altra ce ne sia uno ancora in fasce, neonato, che scalpita per trovare spazio e per imporsi in una dimensione soprattutto virtuale, digitale, post-umana.

Ma si tratta davvero di un’alternativa che esclude qualsiasi possibile mediazione? Non è forse vero che, di fronte al progresso, non possiamo fare a meno di reagire con un misto inestricabile di paura e fascino, scrupoli e curiosità, ebbrezza e incubi perché, in fondo, questi due mondi non sono davvero così separati come comunemente si crede?

La copertina del volume

Una prospettiva certamente intrigante in cui la pioniera della letteratura fantascientifica coreana Kim Bo-young si tuffa a capofitto nella raccolta di racconti L’origine della specie, aiutando il lettore ad esplorare possibilità inedite e affascinanti.  Si tratta di sette lunghe storie conturbanti e ispirate (più una che fa da introduzione al volume con un estro provocatorio), in cui convivono mitologia e robot, Dio e videogiochi, creazionismo ed evoluzionismo, senza dimenticare i viaggi nel tempo, formazioni di vita non organiche (o quantomeno non nel senso tradizionale del termine) e perfino una società capeggiata dai draghi.

Portate in Italia da Add Editore, nella traduzione di Federica Amodio e con le illustrazioni di Lucrezia Viperina, queste vicende ambientate spesso in un futuro lontano, o in un presente alternativo, o provenienti da un passato che ci suona tutt’altro che familiare, si basano principalmente su due concetti: la suggestione e il dubbio.

La prima ci permette di conoscere da vicino dimensioni che, per l’appunto, non avremmo scommesso fossero comunicabili, talvolta perfino complementari nel loro complesso sistema di diversità. La seconda ci obbliga a non dare niente per scontato, ci spinge a leggere domande aperte che potrebbero essere le nostre, interrogativi che non possiamo più ignorare, ma che capiamo di aver posto per molto tempo nel modo sbagliato, o senza sapere dove andare per cercarne le risposte.

Perché, secondo L’origine della specie, la vita è leggenda ed è chimica, è tradizioni e algoritmi, arte e meccanica, sacralità e script, equilibri naturali e laboratori. E se serve un libro proveniente dall’altra parte del globo per ricordarcelo, ben venga. Se serve parlare di distopie per rispolverare la bioetica e la poesia, facciamolo. Se partiamo dai passi della Bibbia per far funzionare un computer, forse è perché è arrivato il momento di realizzare fino a che punto ha ragione il giornalista Marcello Veneziani, quando dice che «Il mito, come la scienza, sorge dalla sete di vedere, narrare e pensare il mondo con altri occhi, sotto altra luce».

Una luce che Kim Bo-young riaccende per noi, aiutandoci a capire da dove parte, cosa illumina e fin dove potenzialmente potrebbe estendersi, a patto che nell’ombra non resti niente di quello che pensavamo già di conoscere, e che smettiamo di darlo per scontato.

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