Trenta secoli di “babbìo”:
i siciliani che scherzano
come facevano gli antichi

Millenni di storia, con decine di dominazioni, lingue e culture non hanno eliminato dagli abitanti dell’isola la voglia di farsi una risata a scapito di chi li ascolta. Un’attitudine sintetizzata dal verbo babbiàri, termine di uso quotidiano che deriva direttamente dal greco antico. E che ha dato, almeno in Trinacria, un significato diverso dal resto d’Italia alla parola “babbo”

Spesso, siamo abituati a pensare che il siciliano di oggi sia debitore, da un punto di vista lessicale, soprattutto alle dominazioni più recenti: alla lingua spagnola, quindi, e naturalmente a quella francese e araba. Non dimentichiamoci, però, che prima di chiunque altro arrivarono nella regione gli antichi greci, le cui tracce rimangono tuttora nell’idioma parlato dagli isolani.

Un esempio eclatante è costituito da un termine che il siciliano medio utilizza come minimo una volta al giorno, visto il suo carattere burlone e la sua abitudine a definire qualsiasi azione nel dettaglio: si tratta del verbo babbiàri, ovvero dell’atto di divertirsi con un gusto particolare, a metà fra la presa in giro e il piacere genuino.

Chi babbìa, in altre parole, potrebbe avere l’intenzione di farsi una risata a scapito della credulità di chi lo ascolta, o anche solo volerlo coinvolgerlo in un aneddoto spassoso e innocuo, come sono soliti fare i bambini o gli amici più cari. L’azione deriverebbe proprio dal greco antico, dal momento che è stata rinvenuta la presenza nei dizionari della voce babazein, letteralmente scherzare.

Che un’espressione così antica sia stata mantenuta fino ai nostri giorni, nonostante le molteplici stratificazioni del dialetto e le influenze culturali di diversa matrice a cui la Trinacria è stata esposta, si spiega considerando il significante di babbiàri, cioè la sua forma semplice e onomatopeica. Non a caso, essa richiama la forma babbo, che dal latino babbus (derivata dalle prime sillabe balbettate dai neonati) si è poi imposta in italiano per indicare la figura del padre e in siciliano con il significato di persona sciocca o ingenua.

Una persona babba, dunque, è una che probabilmente ama babbìari, e viceversa: chi si trastulla per abitudine con qualche buffonata, è verosimile che sia un po’ babba di natura, che non abbia troppo sale in zucca e che si comporti in questo modo perché non è capace di rimanere seria troppo a lungo. Un altro modo, tutto siculo, per ricordarci che insomma il riso abbonda sempre sulla bocca degli stolti.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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