I puzzle da tremila pezzi, i giocattoli che lasciano dappertutto i piccoli di casa, i pensieri di quando ci infiliamo sotto la doccia a tarda sera: sono molte le cose che ogni giorno ci sembrano non avere senso, non rispondere a una certa idea di ordine, non quadrare esattamente come vorremmo.

Proprio come, anche senza farlo apposta, sono diverse le occasioni in cui siamo noi per primi a comportarci in maniera non del tutto logica, a rispondere a casaccio a una richiesta che ci viene fatta, a tirare a indovinare quando – invece – dovremmo sapere bene con che questione dovremmo confrontarci, e così via.

Tanti, per farla breve, i momenti e gli episodi in cui ci sembra di prendere la vita per come viene, forse perfino un po’ troppo, senza riuscire a sbrogliare fino in fondo il bandolo della matassa che ci viene messa davanti.

Una sensazione che il popolo siciliano pare conoscere bene, al punto che nel dialetto locale è stata coniata tempo addietro una vera e propria espressione idiomatica per esprimere ciò che portiamo a compimento nella maniera meno ragionata possibile, e cioè a mùzzu.

Usata nei contesti più seri tanto quanto nelle circostanze più goliardiche, a mùzzu è infatti una variante tutt’altro che volgare per descrivere sinteticamente la sensazione di caos che permea certe nostre azioni o riflessioni, o quella che ci restituisce un evento al quale assistiamo più o meno direttamente.

E, se vi state chiedendo da dove derivi un fraseologismo tanto originale, la risposta è presto detta: la sua origine, stando alle teorie linguistiche più accreditate, sarebbe da ricondurre all’aggettivo italiano mozzato, inteso come tronco, incompiuto, proprio perché ciò che viene terminato con inesattezze o imprecisioni non sempre viene recepito nel migliore dei modi, e resta così non capito, espresso male, per l’appunto monco.

Un modo di dire che può tornare comodo in svariate occasioni della vita, e che perfino chi non è avvezzo a ricorrere al siciliano nella comunicazione di tutti i giorni potrebbe finire per usare d’ora in poi, evitando così di parlare del caos un po’ a mùzzu, e facendolo invece con molta più precisione.

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