«L’adagio che spesso sentiamo ripetere, “in Italia potremmo vivere di cultura”, può avere un senso solo se smettiamo di interpretarlo come “fare botteghino”». Così il prof.  Pier Luigi Sacco, docente di Economia della Cultura all’Università IULM di Milano e special adviser per il patrimonio culturale della Commissione Europea, sintetizza il suo intervento alla presentazione del volume “Archeologia quo vadis?” che riunisce i contributi di studiosi e addetti ai lavori sul tema del futuro della disciplina. Come già era emerso dal nostro colloquio con il direttore dell’IBAM CNR, Daniele Malfitana, non si può pensare un avvenire per l’archeologia, ma in generale per il sistema dei beni culturali e per le discipline umanistiche che se ne occupano, se non saremo capaci di integrarle nel tessuto economico e sociale. Il prof. Sacco ha precise idee su come dovremmo procedere e ci ha spiegato che qualche passo nella giusta direzione si sta già compiendo, almeno a livello comunitario.

PREDICA AI CONVERTITI. Come far sì che gli appelli che da più parti si levano affinché la cultura divenga finalmente una priorità quando si stilano bilanci e si destinano fondi non cadano, come spesso capita, nel vuoto? «Il primo passo – spiega il prof. Sacco – è rendersi conto che a tali esortazioni prestano orecchie solo coloro che sono già persuasi dell’importanza della cultura per la società». Per questo motivo la Nuova Agenda Europea della Cultura, il documento stilato dalla Commissione europea sul tema delle politiche culturali e che, secondo il professore, rappresenta vera e propria svolta sul tema, è animato dalla consapevolezza dell’incidenza che la cultura può avere sui grandi temi del terzo millennio: integrazione sociale, salute e innovazione. «Accertato questo legame – sottolinea Sacco – le attività culturali possono diventare legittime destinatarie delle risorse investite in quelle grandi questioni».

«Le neuroscienze sociali ci insegnano che il segreto per creare un senso di comunità sia compiere un’attività assieme. Lo ha dimostrato benissimo Daniel Barenboim con la sua West-Eastern Divan Orchestra che fonda il suo progetto di riconciliazione israelo-palestinese proprio su queste basi»

CULTURA E SOCIETÀ. In che senso, dunque, la cultura può aiutarci a fronteggiare problemi come i sentimenti sempre più diffusi di diffidenza e paura rispetto alla diversità etnica e religiosa? «Le neuroscienze sociali ci insegnano che il segreto per creare un senso di comunità è compiere un’attività assieme. Lo ha dimostrato benissimo – prosegue il professore – il direttore d’orchestra Daniel Barenboim con la sua West-Eastern Divan Orchestra che fonda il suo progetto di riconciliazione israelo-palestinese proprio su queste basi». Secondo il prof. Sacco, iniziative di questo tipo possono riconfigurare gli atteggiamenti preferenziali, peraltro dimostrati sperimentalmente, degli esseri umani per i membri del proprio gruppo anche qualora questo gli sia assegnato casualmente, e farlo meglio di qualsiasi scelta legislativa o economica. Non minori, anche se similmente poco discussi, sono i benefici che una vita culturalmente attiva ha in termini di salute. «È stato provato, ad esempio, che l’ascolto musicale può ridurre l’uso di antidolorifici nel post-operatorio mentre visitare un luogo d’arte abbassa il livello di cortisolo salivale (il principale marcatore dello stress ndr) e aumenta il benessere psicologico».

Pier Luigi Sacco, Foto Danilo Pavone | Ibam CNRPier Luigi Sacco, Foto Danilo Pavone | Ibam CNR

ECONOMIA CULTURALE. Sarebbe auspicabile, secondo il professore, iniziare a parlare di “welfare culturale”: «Alcuni studi fatti su individui in età avanzata – spiega Sacco – correlano un aumento dell’aspettativa di due anni e mezzo con le loro abitudini culturali. Provate ad immaginare il risparmio che una riduzione di un modesto 4% nel tasso di ospedalizzazione potrebbe portare». Non si tratta, naturalmente, di sostituire il sistema sanitario con visite al museo, bensì imparare a considerare come il valore portato dalla cultura in termini economici debba essere misurato secondo parametri nuovi. «La logica di mercato è controproducente se applicata ad ambiti come il patrimonio artistico e monumentale, il teatro o le arti visive: pensare esclusivamente al “pubblico pagante” produce aberrazioni come la famosa mostra alla basilica Palladiana a Vicenza. Non mi sorprende che le insegnanti delle scuole superiori abbiano deciso di boicottare un’esposizione che, per “fare cassa”, accosta maldestramente Tutankhamon, Caravaggio e Van Gogh». I benefici della cultura devono essere misurati a lungo termine e ad ampio raggio dunque. Una prospettiva che, per quanto in contrasto con un clima politico che mira al riscontro elettorale immediato, sembra inevitabile al prof. Sacco: «Sia a livello europeo che internazionale, basti pensare che la Cina ragiona in termini di ventenni, questo nuovo approccio sta prendendo sempre più piede. La ragione è che una politica culturale miope non riesce nemmeno a raccogliere i frutti che promette in termini di consenso. In tal senso dobbiamo adeguarci se vogliamo rimanere al passo: i centri di cultura come le università e le istituzioni locali sono i luoghi da cui cominciare».

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