Chi non ha un amico che compra ogni chincaglieria trovata lungo la strada? O un conoscente così sbadato che sembra sempre in un mondo distinto e separato dal nostro? In Sicilia a descrivere il loro comportamento, per quanto apparentemente diverso, sarebbe un unico e pittoresco verbo, ovvero spaddàri (o spardàri, o sfaddàri, o ancora sfaldàri, in base alla zona).

A prima vista si tratterebbe di un corrispettivo quasi esatto dell’italiano sprecare, per quanto le sue sfumature di significato siano più ampie e con degli usi ben più figurati. A spaddàrsi può essere infatti un vestito, per esempio, se è vecchio e logoro e ormai ha perso la sua elasticità, come fosse ormai consumato dal tempo.

Ma anche il tempo si spàdda, se non è ben impiegato, per non parlare del famoso detto secondo cui qualcuno sembra avere la testa solo per spaddàri shampoo, se nella vita non è un tipo particolarmente attento o perspicace.

Il termine deriva dalla parola falda, di origini germaniche, la quale anticamente inglobava fra le altre cose il concetto di lamina, di stratificazione, concepito come uno dei tanti piani che compongono un oggetto. Di conseguenza, con il prefisso s-, ha assunto in dialetto l’accezione negativa dell’eliminazione della patina in questione, a mo’ di un’erosione della superficie preesistente.

Ecco che allora l’aggettivo spaddèri si carica di valenze tanto economiche quanto legate ai materiali di un oggetto, raggiungendo picchi di valenze figurate che arricchiscono la parlata locale e la rendono ben più sfaccettata nei suoi usi di un semplice impiegare male, logorare o consumare che dir si voglia, e che non a caso sono già di per sé tre differenti forme verbali.

Usato nella Sicilia occidentale così come in quella orientale, spaddàri ha dato vita anche al sostantivo spaddamèntu, che ancora una volta si allontana dall’apparente attinenza con sfaldare e sfaldamento per alludere piuttosto a uno spreco, a uno sperpero, a uno scialacquamento ora ironico e ora da prendere (in base al contesto) parecchio sul serio…

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