“Cummigghiàri”, il verbo siciliano di chi occulta ma anche di chi protegge

Quando qualcuno in cucina avvolge un recipiente pieno di ingredienti in un panno e lo mette a riposare in frigo o quando un adolescente cerca di nascondere un’azione di cui va poco fiero alla sua famiglia, in Sicilia esiste un verbo comune per descrivere la loro attitudine: cummigghiàri.

Non il semplice atto del coprire, quindi, bensì un gesto che va al di là della mera praticità, e che porta con sé un ventaglio di suggestioni e di possibilità. Perché in Sicilia si cummògghia per proteggere, ma anche per non mostrare. Si cummògghia per convenienza, ma anche per generosità. E soprattutto si cummògghia per istinto, ma specialmente dopo averci pensato su.

Che si tratti infatti di una ricetta culinaria o di una marachella, il cummigghiàri porta con sé una sfumatura di cura e di circospezione, in cui l’attenzione e il timore di non essere abbastanza discreti si mescolano in pochi e furtivi movimenti del corpo.

Ma da dove deriva questa parola che nella Trinacria sopravvive ancora oggi nella parlata di ogni giorno? L’ipotesi più accreditata è che la sua origine sia da rintracciare nello spagnolo cobijar, che ancora oggi significa non a caso offrire un rifugio, proteggere, ma al tempo stesso anche covare e nutrire in senso figurato.

A sua volta, cobijar verrebbe poi da cobijo, un sostantivo in cui rintracciamo la provenienza dal sostantivo tardolatino cubiculum, che anticamente era sinonimo di dormitorio o alcova, ovvero di un luogo nel quale si cercava un riparo per riposarsi e al tempo stesso sentirsi al sicuro. Da qui, la parola ha poi seguito un’evoluzione non sempre lineare, che in Sicilia porta ai nostri giorni a parlare spesso addirittura di cummigghjièllu – e cioè della volontà di coprire gli errori di qualcuno.

Come abbiamo visto, in ogni caso, nell’isola ci sono cummògghi e cummògghi, dal momento che per gli abitanti del posto non tutto ciò che viene sottratto alla vista ha un’accezione negativa, anzi: cummigghiàri è anche il verbo con cui si descrive ciò che fa un genitore quando rimbocca le coperte al proprio bambino, dimostrandogli così affetto e protezione.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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