Da “allakatàlla” ad “avere la liscìa”: le espressioni più diffuse dell’estate siciliana
Il siciliano, si sa, specie durante le vacanze, ama divertirsi in compagnia e godere delle bellezze che la sua terra gli offre. Attraverso una carrellata di forme dialettali che dicono molto della nostra storia, andiamo alla scoperta dei modi di dire più diffusi legati alla stagione del sole
Vi è mai capitato, durante le vacanze, di interagire con qualche turista e di notare che alcune delle parole con cui vi esprimete ogni giorno in italiano hanno un’origine dialettale? Il modo in cui parliamo, in effetti, è spesso indicativo della nostra storia antica e recente, della cultura che ci caratterizza, delle lingue che si sono succedute nella Trinacria nel corso dei secoli e della mentalità che popoli e vicissitudini diverse hanno aiutato a costruire.
Per parlare dei casi più comuni di questo fenomeno, pensiamo a tutti quei lemmi preceduti da un verbo generico (fare, dare, avere, etc.) e che formano insieme a esso un’espressione idiomatica, come accade per esempio per fare scialìbbia. Il sostantivo deriva dall’arabo shaarib, traducibile con colui che beve, bevitore. Da qui il verbo shaaraba, ovvero bere in compagnia di qualcuno, come sempre avviene nei giorni di festa. In siciliano questa accezione è poi passata per traslato a indicare anche gli acquisti che si fanno in previsione di una grande giornata, caratterizzati da costi esosi e quantità eccessive. Da qui, la scialìbbia è diventata l’abbondanza nel bere, nonché l’atto stesso di divertirsi, che proprio in estate può diventare indicativo di un modus vivendi tipicamente siculo
A essere accompagnati dal verbo fare esistono molti altri sintagmi diffusi nella nostra isola, fra cui i celebri fare allakatàlla e fare càlia. Quanto al primo, forse vi stupirà sapere che la sua origine non è araba, bensì greca. Il sintagma ἄλλα καὶ τά ἄλλα (àlla kài tà àlla), infatti, significava le une cose e poi quelle altre e lasciava intendere un accumulo di oggetti o di elementi dettato non sempre da un criterio logico o razionale, quanto piuttosto dalla fretta, dal caos o da troppa allegria. Al giorno d’oggi, allakatàlla è pertanto una forma avverbiale con la quale si esprimono comportamenti eccessivi, smodati, poco ragionati… Esattamente quelli che a volte caratterizzano in maniera bonaria i mesi che vanno da giugno a settembre, durante i quali si va in ferie, si festeggia sulla spiaggia o si prenota un viaggio, badando più allo svago che ad avere atteggiamenti cauti e moderati.
Del secondo, invece, l’origine è tuttora dubbia. Ciò che è certo è che la càlia nei modi di dire sia una preparazione associata alla simènza, perché ha come ingredienti principali ceci e semi di zucca. La si può trovare venduta in piccole buste nelle bancarelle che invadono il centro storico di capoluoghi e paesini durante le cerimonie religiose e le feste consacrate, pronta a essere sgranocchiata direttamente sulla via. Probabilmente, dunque, decidere di fare càlia (cioè di marinare la scuola) vuol dire scegliere di occupare il tempo dedicandosi a una attività pratica, anziché a quella passiva di ascolto dietro a un banco, o in un’altra accezione potrebbe essere associata all’idea di mangiucchiare per strada come se fosse un giorno festivo, e non uno in cui il dovere richiede la nostra presenza. Se di nuovo trovate un’attinenza fra il divertimento e un certo modo di affrontare la quotidianità del popolo siciliano, sappiate quindi che non siete affatto fuori strada.
Comunque sia, meno controversa è invece l’etimologia di un’altra espressione caratteristica, ovvero dare addènzia, perfetta da usare alla forma dell’imperativo (dàmmi o dùnami addènzia) quando ci sentiamo ignorati da qualcuno e vogliamo richiamare la sua attenzione con un rimprovero più o meno serio. La sua forma si presta a diverse varianti in base all’area in cui ci troviamo e proviene dal sostantivo latino audentia, che in passato voleva dire prodezza, ardimento, coraggio o addirittura impudenza – dal verbo audere, il cui significato era proprio osare. Una locuzione che si diffuse sempre di più nelle province imperiali, però, fu audentiam orationi facio, cioè gestire l’attenzione degli uditori durante un discorso, dalla quale si pensa derivi la denza siciliana nel suo senso principale di attenzione. E non è tutto: l’espressione popolare nun dàrisi addènzia indica l’incapacità di qualcuno di darsi pace per qualche ragione, mentre nella sua valenza più estrema l’addènzia indica pure l’entusiasmo e l’ardore con i quali si compie un’azione, magari anche stavolta nel pieno di una festa notturna organizzata durante la bella stagione.
Prima di concludere, impossibile non annoverare poi il notissimo detto avere la liscìa, Il termine ha origini altrettanto antiche, dato che deriva dal latino lixa (ovvero, ranno). La parola si è poi trasformata in lixīvia ed è passata all’italiano nella forma attuale liscìvia. Si tratta di una particolare varietà di sapone, utilizzata già nei secoli passati e prodotta creando un infuso di cenere setacciata e acqua bollente, indispensabile già allora per lavare a mano. In Sicilia, intanto, la liscìa ha cambiato accento e definisce oggi chi ha voglia di scherzare senza una ragione apparente. Indicata spesso come giustificazione a una ridarella prolungata, non ha però niente a che vedere con l’alcol e, anzi, indica la leggera ebbrezza che colpisce chi per la verità non ha bevuto nemmeno un goccio. Uno stato d’animo improvviso e irrefrenabile, perciò, che la dice sulla joie de vivre dell’animo siculo, pronto a dare il meglio di sé soprattutto per combattere la canicola dei giorni più afosi dell’anno – provare per credere!