Da una festa ebraica al guardaroba dei siciliani, fino a Pascoli: la storia del verbo “incignàri”

Dire primavera è dire cambio di stagione. E dire cambio di stagione è dire capi più leggeri, colorati, che se erano stati acquistati quando l’inverno si trovava ormai alle porte potrebbero essere indossati ora per la prima volta – o meglio, qualora vi trovaste in Sicilia, appena incignàti.

Questo curioso termine, derivante dal verbo incignari (o ingignari, in base alle zone) viene infatti utilizzato comunemente dagli abitanti dell’isola per descrivere un vestito che si sta sfoggiando per la prima volta, e che di conseguenza conserva ancora tutte le caratteristiche per le quali si era scelto inizialmente di comprarlo.

Si tratta, insomma, di una parola di uso piuttosto quotidiano, motivo per cui non tutti probabilmente immaginano quanto la sua origine sia antica e affascinante: l’etimologia sarebbe la stessa del latino tardo encaenare (it. inaugurare), da ricondurre quindi al greco ἐγκαίνια (egkàinia), ovvero festa di inaugurazione. A sua volta il sostantivo proveniva poi dall’unione della particella ἐν (en) con καινός (kainòs), che potremmo tradurre oggi come nuovo.

A differenza di quanto si potrebbe ipotizzare, però, il lemma anticamente non si riferiva al mondo della moda, quanto piuttosto a quello ben più solenne della consacrazione o dell’inaugurazione di un tempio religioso, o in altri casi di una città di recente costruzione. Stando alle fonti pervenute fino a noi, per lo più l’egkàinia è collegata ai riti ecclesiastici del culto ebraico e in seguito cristiano, con particolare riferimento a una festa annuale della durata di otto giorni.

Si trattava di un’usanza che aveva inizio il giorno 25 del mese di Chisleu, corrispondente all’incirca alla metà del nostro mese di dicembre, e che venne istituita nel 164 a.C. da parte di Giuda Maccabeo, per ricordare la purificazione del tempio dopo il sacrilegio di Antioco IV Epifane.

Dopodiché, la storia di questa locuzione si è tramandata e si è trasformata era dopo era, fino ad arrivare nel XV secolo… in Italia! Sì, perché la verità è che incignàri rientra nella categoria delle parole siciliane di origine italica, come testimoniano un verso di Giovanni Pascoli («era ben messa, / Incignava quel giorno anzi un guarnello») e la stessa Accademia della Crusca, per la quale si tratterebbe di un toscanismo di ispirazione manzoniana, che però non appartiene al fiorentino.

Come si sia sviluppato nella Trinacria al punto da entrare di diritto nella parlata locale di ogni giorno è ancora da approfondire, ma resta il fatto che, pur essendo ormai un termine desueto e diffuso solo in alcune altre regioni della penisola, conserva nel suo impiego popolare un passato ricco di sfumature sorprendenti.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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