La storia dello “schitìcchiu”,
lo street-food
made in Sicily

Il termine era in uso già nel XVII secolo e la sua etimologia è tuttora incerta, per quanto da molto tempo definisca un momento di ozio spensierato, in cui consumare un ricco pasto all’aria aperta in buona compagnia

La Sicilia, terra soleggiata per gran parte dell’anno e circondata dalle coste più variegate del Mediterraneo, è la regione ideale per pensare a una scampagnata all’aperto praticamente in qualsiasi mese. Ecco perché abbondano luoghi di campagna, montanari o marini adibiti a picnic formato famiglia, così come non mancano zone scoperte in maniera più discreta da privati cittadini che decidono di trascorrere qualche ora fuori casa nel rispetto della natura. In questo contesto idilliaco, in cui si fa scialìbbia spesso e volentieri, non potrebbe mancare un termine dialettale per definire un’abitudine tanto radicata nell’animo siculo.

La troviamo, in effetti, nell’area del palermitano, con una diffusione negli anni sempre più capillari anche nelle altre province della Trinacria, e si tratta dello schitìcchiu. Il termine era in uso già nel XVII secolo e la sua etimologia è tuttora incerta, per quanto si pensi derivi dal verbo schiticchìare, corrispettivo dell’italiano spiluccare. Per molto tempo, quindi, in dialetto ha definito un momento di ozio spensierato, per poi passare a indicare un ricco pasto consumato all’aria aperta in buona compagnia.

Durante la schiticchiàta, ovvero l’abbuffata tipica di simili occasioni goliardiche, è consuetudine consumare cibi preparati in casa o al barbecue, come lasagne al forno, carni arrostite e fritti misti, in base all’area di provenienza. Nella zona del capoluogo di regione, per esempio, è comunissimo ‘u pani c’a mèusa, sebbene in tutta la Sicilia siano ormai sempre più frequenti anche cibi meno elaborati o caratteristici, assimilabili ai moderni cibi di strada. Ecco spiegato il motivo per cui nel XXI secolo lo schitìcchiu è diventato un sinonimo regionale di street food nostrano.

E non è tutto: nel catanese, dall’altra parte dell’isola, la parola ha assunto anche il significato di tosse breve e ripetuta, mentre l’aggettivo corrispondente (schiticchiùsu) si dice oggi di cosa piacevole, ben fatta o chic, che conferma ancora una volta la straordinaria polisemia del dialetto siculo.

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Traduttrice di formazione, nonché editor, correttrice di bozze e ghostwriter, Eva Luna Mascolino (Catania, 28 anni) ha vinto il Campiello Giovani 2015 con il racconto "Je suis Charlie" (edito da Divergenze), tiene da anni corsi di scrittura, lingue e traduzione, e collabora con concorsi, festival e riviste. Ha conseguito il master in editoria di Fondazione Mondadori, AIE e la Statale di Milano, e ora è redattrice culturale - oltre che per Sicilian Post - per le testate ilLibraio.it e Harper’s Bazaar Italia. Lettrice editoriale per Salani, Garzanti e Mondadori, nella litweb ha pubblicato inoltre più di 50 racconti.

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